Trame cinematiche colme di epica visionarietà attraversate da un caldo vento polveroso. Prosegue lungo la rotta che conduce verso immaginifici territori del lontano ovest il percorso artistico di Andy Cartwright aka Seabuckthorn, che dopo il brillante “I could see the smoke” torna pubblicando il suo secondo lavoro sulla lunga distanza.
Il suono della fedele dodici corde e della vecchia resofonica, a tratti scandito da profonde pulsazioni ritmiche, è sempre l’elemento dal quale scaturiscono i racconti che plasmano l’avventurosa epopea creata da Cartwright, la cui abituale tavolozza qui si amplia anche grazie alla preziosa collaborazione dell’amico William Ryan Fritch che contribuisce suonando il contrabbasso in tre dei dieci brani.
Come già accadeva nel precedente lavoro, l’apertura affidata agli intrecci incalzanti di “Long Voyages Often Lose Themselves “ è dirompente e ci catapulta repentinamente nei vividi e affascinanti paesaggi disegnati dal musicista inglese, il cui vibrante picking si muove costantemente tra torrenziali arpeggi dal tono sommesso (“Of Disappearance”, “Lanterns”) e trame venate da un’inquietudine strisciante che si sciolgono in rarefatte aperture ambientali (“Occurring Water”, “Plateau Edge”). L’atmosfera che si sprigiona ha un sapore decisamente viscerale, accentuato nei frangenti in cui le pulsazioni strutturano il flusso conferendovi un’impronta ancestrale (“Concerning Otherness”).
Pur rimanendo ancorato ad un immaginario già definito, “Turns” ha il merito di espandere un lessico sonoro avvincente che sempre più rende Seabuckthorn un punto di riferimento imprescindibile.
[…] deciso verso la creazione di una tavolozza più ricca, un intento già dichiarato nel precedente “Turns” ricorrendo alla preziosa collaborazione di William Ryan […]
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