Minute stille che s’infrangono in un incostante mare di suoni enigmatici. È un dialogo dall’incedere misurato e frammentario quello instaurato tra il sampler di Sergio Camedda e lo zither di Giampaolo Campus, uno scambio giocato su un senso compiuto costantemente spiazzante derivante da una lenta concatenazione di aforismi strutturati attraverso un processo di libera improvvisazione.
Scarne e spesso isolate note di un pianoforte molteplice, virtualmente creato attraverso il campionatore, si riversano nitide in organici e crepitanti fondali scaturenti dall’esplorazione acustica della cetra, indagine condotta sull’interezza dello strumento adottando tecniche estese di esecuzione. Il confronto fra le componenti genera un sussurro obliquo che disegna scenari surreali, inattesi eppure plausibili, capaci di comporre un universo teso ricco di riverberi e dettagli. Ad enfatizzarne il portato misterioso e seducente è l’uso degli spazi vuoti, delle pause in cui lasciare lentamente decantare ed espandere il racconto condiviso, costantemente indirizzato verso un utilizzo essenziale del lessico scelto.
È tutt’altro che immediato riuscire a stabilire un contatto pieno con le dissertazioni del duo sardo, bisogna essere disposti ad immergersi con attenzione nell’ascolto. Una volta catturati però difficilmente si rinuncerà a percorrere fino in fondo questa affascinante peregrinazione.