Saturazioni cupe che lentamente si espandono originando inquiete visioni di una realtà sempre più agrodolce. È una lunga e amara riflessione sul mondo contemporaneo che emerge dal sinuoso flusso plasmato da Pepo Galán nel suo nuovo disco, intento chiaramente esplicitato dal titolo stesso del lavoro.
Atmosferiche fluttuazioni dense di oscuri riverberi costruiscono un percorso carico di drammatica enfasi che lascia spazio quasi nullo a prospettive positive. Le coltri ambientali disegnate dal musicista spagnolo avvalendosi del contributo di due compagni di viaggio quali David Cordero e Lee Yi che abitualmente si muovono su territori affini, si dilatano in modo avvolgente creando nuclei emozionali alienanti dai quali osservare un universo in disgregazione.
Diviso in due parti intervallate dalla breve “Half moon”, unico stralcio di tenue e calda luminosità, l’album si muove tra vaporosi movimenti interpolate da frequenze stridenti (“Human values disappear”, “Almost alone in this life”) e crepuscolari sinfonie ibridate da striature granulose (“Old testament”) che alzandosi di tono giungono a scolpire abrasive ascese dal tono solenne (“We are all welcome here”, “Sacred autumn”) fino a giungere alla solitaria placida deriva di “Few dollar more” che chiude il viaggio senza definire un conclusivo approdo.
Un apocalisse emozionale.
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