Una piccola cascata di crepitanti micro universi plasmati con tocco impressionistico. Sono costruzioni essenziali in bilico tra evanescente astrazione e concreta sensorialità a definire l’esplorazione sonora di ranter’s groove, placida deriva attraverso minute ambientazioni permeate da lisergico afflato.
Dalla combinazione di frammentarie trame chitarristiche e pulsanti fondali composti da stille rumorose e inserti ambientali prendono forma risonanti visioni che si sviluppano con tono unitario trovando sfumature cangianti che connotano in modo univoco ogni singolo tracciato, spesso arricchito dal contributo di inserti armonici affidati ad altri musicisti. Si passa così con coerente coesione da sprazzi di contemplativa quiete enfatizzata dai flebili fraseggi del violoncello di Macarena Montesinos (“i bastardi”) a sulfuree immersioni in territori oscuri da cui emerge un sotterraneo recitato (“ade”), da cadenzati flussi densi di inquietudine (“technological slavery”) a nebbiose atmosfere pervase da granulose frequenze tra cui aleggia il suono della tromba di Paolo Bedini (“your sleep/my wild side”).
Un allucinato incedere notturno alla ricerca di indefiniti scorci a cui affidare l’immaginazione.