Un oceano di profonda desolazione che si espande gradualmente fino a divenire impenetrabile superficie priva di limiti. A meno di un anno di distanza dall’apocalittico scenario di “Shameless Years” e a distanza ancor più breve dall’epilogo di “Midnight Colours”, Rafael Anton Irisarri torna a dipingere scenari di infinita e rassegnata malinconia definiti attraverso i suoi abituali flussi immaginifici dal portato evocativo travolgente.
Convergono qui verso atmosfere più introverse le cattedrali di suono scolpite dall’artista americano, costruite attraverso un minuzioso processo di reiterazione in cui ogni ciclo mutua il precedente senza mai emularlo totalmente realizzando un crescendo in cui l’eccezione prevale sulla regola. Pensati come un unico itinerario da percorrere senza soluzione di continuità, i quattro capitoli di questo struggente nastro di Möbius scorrono lasciando tracce indelebili che partendo dall’enfatico crescendo di “Downfall” e la granulosa densa inquietudine di “Sonder” impreziosita dalla chitarra di Carl Hultgren, si spostano gradualmente verso territori meno cupi e più meditativi. Ad aprire questa nuova dimensione troviamo la mesmerica marea di morbide risonanze che scorrono su un irregolare fondale di “Vasastan” a cui fa seguito la toccante, conclusiva “Mountain stream”, che con le sue luminose modulazioni tra cui si incastrano le tessiture pianistiche di Taylor Jordan, sancisce un punto di approdo che apre a squarci di velato ottimismo.
Un tracciato avvolgente e totalizzante che partendo da un lessico ormai consolidato converge verso nuovi territori da esplorare per divenire possibili nuovi punti di inizio.