Frammenti di calda vitalità che cercano di emergere da un vischioso mare tecnologico per riaffermare un’emozionalità in via di estinzione. Sgorga dalla fredda penombra proiettandosi verso una luce sempre più distante il suono, vettore ibrido di un’umanità sempre più inquieta e dolente.
Abbandonando il condiviso itinerario elettrico con The White Mega Giant, Bad Pritt inaugura un nuovo corso inseguendo la sua oscura visione tra le pieghe di un tracciato in bilico tra algide iterazioni sintetiche e una marea melodica indissolubile, elementi che costantemente si confrontano generando un’ibridazione carica di persistente tensione. È un romanticismo aspro e contemporaneo, dominato dalle enfatiche movenze degli archi affidati a Valeria Sturba, che maestosamente si innalzano su scabrose architetture di fraseggi infinitamente circolari e pulsazioni profonde. Una presenza ingombrante che trova contraltare in una ricorrente vocalità espressa quale cruda declamazione o più spesso come traccia canora manipolata fino a divenire pura astrazione.
Ogni tassello si incastra in questo denso magma dall’impronta spiccatamente cinematica generando un flusso estremamente coeso, talmente coerente da divenire a tratti ridondante e vanificare in parte la sua potente spinta immaginifica, trasformando il suo pregio in lieve difetto.
Una deriva accattivante dalle coordinate chiaramente individuate, eco di un contemporaneo spleen al cui influsso risulta impossibile sfuggire. Delicatamente plumbeo.
[…] che sbiadiscono lasciando tracce indelebili.Distante dalle oscure trame elettroniche dell’esordio, il suono si spoglia delle algide astrazioni vocali per farsi veicolare da esili partiture […]
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