Un universo esteriore in disgregazione, privo di margini riconoscibili, a cui fa eco una mancanza di identità personale e di senso di appartenenza. Si arricchisce di un nuovo capitolo l’esplorazione della parte più oscura della nostra contemporaneità condotta da Giulio Aldinucci, indagine portata avanti attraverso alcune delle sue più recenti pubblicazione condivise ma messa a fuoco soprattutto nel precedente lavoro solista “Borders and ruins”.
Ed è da quest’ultima tappa che il musicista senese riparte, rivolgendo adesso il suo sguardo non più sull’ambiente circostante ma concentrandolo su coloro che questo spazio lo vivono. Una consequenzialità concettuale rafforzata dalla scelta di percorrere questo nuovo itinerario utilizzando un lessico affine, che ancora una volta risulta imperniato sull’alternanza di ruvide frequenze irregolari ed evanescenti saturazioni colme di dolente solennità.
Ci si ritrova così a navigare tra maree emozionali in bilico tra cupe scie di scabrose modulazioni ed eteree aperture pervase da tracce armoniche senza tempo (“Jammed Symbols”, “Aphasic Semiotics”), alienate derive di inquiete trame sintetiche (“Notturno Toscano”), disturbanti vortici ascensionali (“The Tree of Cryptography”) e aleggianti tessiture di evanescenti persistenze finemente cesellate (“Mute Serenade”).
Un tracciato avvolgente che sa superare il limite di una stretta continuità sonora attraverso la sua marcata impronta emozionale.
Sacralità postmoderna.