Suono che scaturisce da immagini in movimento per divenire esso stesso visione, potente proiezione di un immaginario sempre più complesso e sfaccettato. Nata come commento dell’omonimo film sperimentale del canadese Patrick Bernatchez risalente al 2014, l’immersiva trama risonante plasmata da Fernando Corona in “Lost in time” trova adesso nuova e ampliata forma divenendo pubblicazione autonoma che ulteriormente sancisce un’attitudine all’ibridazione ed uno scostamento da quella dimensione marcatamente sintetica cifra stilistica della fase iniziale del suo percorso artistico sotto lo pseudonimo Murcof.
Assecondando il movimento ciclico basato sull’alternanza degli opposti che informa il flusso video di Bernatchez, il musicista messicano costruisce un monumentale scenario definito dall’incontro di ariose armonie dal tono solenne, che trovano il loro apice nell’interpretazione vocale delle Variazioni Goldberg di Bach ad opera de Les Petits Chanteurs du Mont-Royal, e oscure frequenze pervase di inquietudine in lenta e graduale espansione. Da questo costante oscillare si delinea un maestoso itinerario di lunghi piano sequenza che esplorano algidi scenari disegnati da fluttuazioni alla deriva intercettate e decostruite da ruvide increspature cariche di tensione.
È un incedere carico di greve epicità che giunge al termine soltanto per decretare un nuovo punto di avvio che dichiari in modo inequivocabile l’impossibile soluzione di continuità di un ciclo infinito che si reitera fuori da ogni connotazione spazio-temporale.