Vaporose frequenze che scorrono sinuose come un accogliente manto pronto a consegnarci al placido tepore della dimensione onirica. Nascono dalla rimodulazione di un flusso originariamente composto per una sessione dedicata ad uno sleep concert tenutosi lo scorso anno a Denver i sette movimenti che modulano il nuovo disco di Jason Corder, lavoro che di quell’iniziale istanza conserva inalterato il tono crepuscolare e appunto “avvolgente”.
Inglobando al loro interno fragili trame armoniche e flebili ed evocativi estratti ambientali, i flessuosi ed eterei bordoni plasmati dal musicista americano si dilatano quieti generando torpidi torrenti risonanti. È un’oscurità confortevole quella che gradualmente prende forma, un ambiente ideale nel quale sprofondare abbandonandosi al sogno anche quando ruvide screziature di fono o nervose tessiture di archi conferiscono maggiore tensione e parziale inquietudine.
Un immergersi silente, a tratti allucinato, che propone lungo il suo corso due omaggi dedicati rispettivamente a Susumo Yokota e Johann Johannsson, due autori indicati da Corder come costante fonte d’ispirazione.
Elegiaco notturno da affrontare rigorosamente ad occhi chiusi.