
Dense volute di penetrante suono si dilatano in mutevole divenire, come un crepuscolare tappeto di gravide nuvole che si muove regolando la luce e il suo modo di lambire la terra. Ha qualcosa di alchemico, di profondamente enigmatico, la sapiente regia che Silvia Cignoli applica alla materia risonante per plasmare il suo primo tracciato solista, vibrante flusso di caleidoscopiche visioni in bilico tra meditabonda quiete e dirompente deflagrazione.
Tessendo complesse trame che hanno nella voce trasfigurata della chitarra e delle tastiere nucleo fondante, linea guida costantemente interpolata da frequenze elettroniche che ne completano la struttura, la musicista lombarda disegna una traiettoria cangiante attraverso un umbratile universo pervaso da tangibile inquietudine, che lungo i suoi quattro movimenti assume diversa forma e sostanza.
Senza creare uno stacco di senso, una cesura netta segna il passaggio da una scena all’altra concedendo il giusto respiro per poter riemergere dalla marea appena affrontata e sentirsi pronti a farsi trascinare nel successivo vortice sensoriale.Si passa così dalla struggente/travolgente malinconia di “L’acqua non ricorda” all’accidentato pulsare sintetico di “Nioto”, dalla graffiante ruvidezza delle decostruite modulazioni di “The dam and the black gleam” alla placida deriva di “Terminale radioso”, conclusivo espanso sussulto che sancisce l’approdo verso un rarefatto orizzonte che concede alle insondabili profondità del mare e del cielo di fondersi in un unico amniotico frangente in cui lasciare affondare uno sguardo ormai languido e disincantato.
[…] da un buon disco di debutto solista – “The Wharmerall” – che ne metteva in evidenza soprattutto l’attitudine alla sperimentazione, la musicista […]
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