[laaps]

Esiste una malinconia inestinguibile che si irradia dalle partiture essenziali di Taylor Dupree che negli anni è divenuto un vero e proprio marchio di fabbrica della sua attività musicale solista quanto di molta parte delle uscite discografiche curate dalla sua pregiata 12k. Atmosferici loop di chitarra, modulazioni sintetiche luminose, glitch e risonanze ambientali sono gli elementi fondanti di un lessico orientato alla formulazione di astrazioni meditabonde dall’incedere morbido.
“Harbor” – quattordicesimo album a sua firma esclusiva – propone gli stessi ingredienti volti alla definizione di otto nuovi paesaggi sospesi in un territorio in cui frequenze diluite fino a divenire scia onirica si amalgamano con esattezza ad un coacervo di riverberi dalla consistenza profondamente tattile. L’intersezione derivante – da cui emergono echi di ambient enoiana e screziature glitch – produce scie ovattate ricche di minuti dettagli che passano dalla delicatezza armonica da carillon della title-track fino alle ruvide correnti di “Desaturation”.
Ciò che rimane intatta è la quieta grazia con cui l’universo sonoro del musicista newyorkese si rivela, invariante che lega insieme le tappe di una carriera corposa slegata da ogni vincolo temporale.
[…] successiva è qui semplificato da una comunanza evidente che lega le trame elettroacustiche di Taylor Deupree a quelle del poliedrico musicista giapponese. Una grazia fragile e l’essenzialità dei suoni sono […]
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