
Scampoli trattenuti del passato in inesorabile dissolvimento, memoria che lentamente si fa polvere pronta ad essere spazzata via da un vento profondamente malinconico. L’Oblio disegnato da Alessandro Barbanera è un processo quieto, minuzioso attuato a partire da particelle minime estrapolate dal repertorio classico e combinate all’elegia di riferimenti letterari, nonché ad una sensibilità ambient-drone fatta di trame flessuose sviluppate su un substrato denso quanto vaporoso.
Visti gli intenti risulta inevitabile tornare ai loop in decadimento del capolavoro di Basinski o alla monumentale opera in sei capitoli eretta da Leyland Kirby sotto l’alias The Caretaker, ma le affinità con entrambi i lavori si fermano all’atmosfera ricercata. La materia plasmata dal musicista umbro, pur con medesimo senso di infinita nostalgia, sceglie la via della reiterazione solo in parte – in modo pronunciato soprattutto in La même vieille chanson – preferendo evolvere come corrente sempre più nebbiosa che ingloba echi ambientali e flebili screziature. Dell’hauntologia di Everywhere at the End of Time possiede la spettralità incrementale, che diviene dominante granulosa nel quasi finale di …are fading. Idealmente infatti il viaggio si chiude con una non-traccia fatta di assoluto silenzio, eco della definitiva caduta nell’oscurità dei ricordi perduti.