
Suono intenso in ostinata propagazione, proiettato verso il limite oltre cui inizia un decadimento fisiologico, libero di espandersi nello spazio e attraversare i corpi. È un approccio fisico, legato alla dimensione dinamica di sviluppo delle risonanze, a determinare la genesi della seconda prova sulla lunga distanza di Aleksandra Słyż. Per plasmarlo la compositrice polacca si avvale di un connubio elettroacustico determinato dall’intreccio delle sorgenti sintetiche da lei definite con le trame acustiche di un piccolo ensemble di archi e sassofono.
Gli spessi bordoni generati dal sistema modulare e dagli strumenti danno forma a flussi penetranti che si connettono all’insegna di movimenti tonali univocoi non scevri da dissonanze e percorsi da vibranti increspature. Il senso di sospensione, la sacralità che emana dall’insieme mostrano chiari punti di contatto con le atmosfere solenni scolpite da Kali Malone, ma oltre l’iniziale luminosità di “Healing” qui il tono si tinge di un’oscurità crescente. In modo particolare “Softness, Flashes, Floating Rage”, imponente suite di ventisei minuti, vira verso un paesaggio crepuscolare nutrito dai tetri riverberi degli archi e dalla voce dolente del sassofono, che accompagnano con preziosa misura l’idea compositiva della Słyż.
Un paziente immergersi in un nero oceano di suono.