
Obliquo, flessuoso ed imprevedibile.
Un senso di costante precarietà si irradia dalle strutture sonore erette da Federico De Biase in “Icarus”, nuovo lavoro solista interamente improvvisato su un pianoforte [semi]preparato utilizzando quelli che lo stesso autore dichiara essere alcuni suoi preziosissimi talismani. Quello distillato nei dieci movimenti proposti è suono incline alla ricerca melodica, ma sempre pronto a sfuggire alla traiettoria nitida offrendo così punti di vista stimolanti su un immaginario musicale in cui si fondono abilmente avanguardia, jazz e modern classical.
Quando nel dispiegarsi dell’istante – gran parte delle tracce ha la durata di un semplice frammento – tutto appare nitido, ecco intervenire l’interferenza di legni e metalli, o una semplice dissonanza, a piegare la visione e svelare profondità di campo inattese. Ne scaturisce un paesaggio emozionale vivido, un itinerario stimolante estratto da un’estemporaneità figlia di pregresse scritture e approfondimenti.
Una fugace deriva in un ambiente d’ascolto crepuscolare che elegantemente si spegne nel compassato incedere di un mare profondissimo.