
La connessione intima con uno strumento d’elezione, perseguita in un arco temporale lungo e contraddistinto da studio e sperimentazione, culmina non di rado nella ricerca di nuove formule espressive che mirano a trascenderne il lessico abituale. Ibridazione, avanguardia, ideazione di nuove tecniche di esecuzione diventano mezzi imprescindibili per dare corpo ad una simile istanza. La pratica sonora di Kety Fusco, talentuosa compositrice diplomata in Arpa Classica al Conservatorio della Svizzera Italiana, aderisce appieno a tale modalità.
A tre anni da Dazed, disco d’esordio che ne ha messo in mostra le qualità, l’arpista pubblica la prima parte di una trilogia ambiziosa, orientata appunto a proseguire ed espandere tale processo di superamento, rivoluzionando ulteriormente l’uso dello strumento. Questo primo capitolo presenta un’unica composizione costruita quale itinerario inquieto contraddistinto da un’evoluzione cangiante nella forma e nel tono.
A partire dal graduale emergere di vibrazioni, sibili e risonanze sinistre prende le mosse un vortice sonoro atmosferico che incastra la voce nitida di tre differenti arpe – classica, in legno da ottanta chili, elettrica – alle modulazioni generate dalla sua trasfigurazione. È un flusso nervoso che attraversa una fase cosmica di stampo minimalista per convergere in una distesa riverberante di increspature elettroniche – estratte per configurare il singolo 2072 – prima di tramutarsi in sequenza pulsante che improvvisamente si sfalda – cristallizzata nel secondo singolo Starless – per culminare in un finale di dissonanze sempre più diluite.
Concepito come percorso volutamente disturbante, il tassello d’esordio – composto con la complicità di Alessio Sabella e nutrito dal confronto con Jacopo Incani – colpisce per il suono tagliente e l’atmosfera immaginifica di un post-classicismo capace di fare presa e creare aspettativa verso ulteriori, annunciati sviluppi.