taylor deupree & marcus fischer “lowlands”

[IIKKI]

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Un’apparenza immobile sotto la cui superficie si cela una vitalità inesauribile fatta di piccole tensioni e quieti flussi. È un paesaggio tutto da indagare e da raccontare nel suo vasto portato immaginifico quello artico, scenario che ha ispirato Ester Vonplon conducendola alla realizzazione di una trilogia fotografica che rappresenta il punto di partenza da cui prende le mosse la terza pubblicazione firmata IIKKI.

A sonorizzare l’esplorazione visiva dell’artista svizzera troviamo Taylor Deupree e Marcus Fischer, che attraverso il loro attento lavoro di cesellatura elettroacustica plasmano una traduzione musicale capace di riportare e amplificare la dimensione epico-onirica delle immagini del libro, non a caso suddivise in sequenze riferite alle singole tracce.

L’affascinante percorso che scaturisce da questa duplice navigazione conduce attraverso scorci di cristallina bellezza fatta di quiete trame sognanti che fanno da eco alla scultorea brillantezza del ghiaccio (“Lowlands”), momenti di crepitante matericità (“On branches”, “Snow slowed”) e moti fluidi in cui le stille melodiche danzano luminose attraverso fondali evanescenti (“Rides”, “Cascades”). A tratti lo sguardo si pone a distanza maggiore cogliendo la stasi apparente di vedute d’insieme fatte di linee acustiche più strutturate ma sempre intrise di un incedere sghembo (“Migrations”, “Sometimes”).

Una combinazione audio-visiva di pregevole fattura che si diluisce lentamente nei tratti di grave solennità di “Rivers” , eco perfetta di quel mare inquieto sovrastato da oscure nubi posto a conclusione di questa deriva intrisa di magico stupore .

 

 

Taylor Dupree   “Harbor”

[laaps]

Esiste una malinconia inestinguibile che si irradia dalle partiture essenziali di Taylor Dupree che negli anni è divenuto un vero e proprio marchio di fabbrica della sua attività musicale solista quanto di molta parte delle uscite discografiche curate dalla sua pregiata 12k. Atmosferici loop di chitarra, modulazioni sintetiche luminose, glitch e risonanze ambientali sono gli elementi fondanti di un lessico orientato alla formulazione di astrazioni meditabonde dall’incedere morbido.

“Harbor” – quattordicesimo album a sua firma esclusiva – propone gli stessi ingredienti volti alla definizione di otto nuovi paesaggi sospesi in un territorio in cui frequenze diluite fino a divenire scia onirica si amalgamano con esattezza ad un coacervo di riverberi dalla consistenza profondamente tattile.  L’intersezione derivante – da cui emergono echi di ambient enoiana e screziature glitch – produce scie ovattate ricche di minuti dettagli  che passano dalla delicatezza armonica da carillon della title-track fino alle ruvide correnti di “Desaturation”.

Ciò che rimane intatta è la quieta grazia con cui l’universo sonoro del musicista newyorkese si rivela, invariante che lega insieme le tappe di una carriera corposa slegata da ogni vincolo temporale.

Arovane   “Sinter”

[laaps]

Dopo un lungo stop ad inizio millennio, la parabola di Arovane – storico moniker del pioniere elettronico Uwe Zahn – ha ritrovato negli ultimi anni continuità producendo una serie di album pregevoli sempre più orientati verso la definizione di paesaggi sintetici profondamente atmosferici. Tale attitudine lo ha portato a stringere un proficuo sodalizio con Taylor Deupree – per la cui 12k è uscito Reihen e coautore per la stessa label del recente Skal_Ghost – nuovamente presente in cabina di regia per la realizzazione di Sinter.

Combinando modulazioni  morbide, sottili bordoni e screziature di intensità variabile, il musicista teutonico propone un’alternanza dinamica di itinerari conclusi e intermezzi dalla durata stringata, capace di costruire un universo risonante al tempo stesso tattile e tendente alla dimensione onirica. Attraverso una pratica consolidata nel corso degli anni, ciò che viene strutturata è una sequenza di ambienti elettronici profondamente stimolante, che senza attrito passa da stratificazioni nervose (Fern) e frammenti dissonanti (Lithh) a progressioni dense pervase da grana spessa (Gitter) e saturazioni oscure scandite da variazioni minime (Muster) fino a diluirsi in ipnotiche distese luminescenti (Wendung).

È uno scenario trasognato, a tratti sinuosamente allucinato, che rapisce per la sua vividezza  e per la tavolozza sonora brillante carica di sfumature e dettagli.

Tomotsugu Nakamura   “Nothing Left Behind”

[laaps]

A due anni di distanza dall’affresco onirico di “Literature”, Tomotsugu Nakamura   torna sulla francese laaps per dare forma ad un’altra delle cento tappe che scandiscono l’itinerario ideato e curato da Mathias Van Eecloo. L’abituale transizione che vede la coda dell’uscita precedente riversarsi nell’attacco della successiva è qui semplificato da una comunanza evidente che lega le trame elettroacustiche di Taylor Deupree a quelle del poliedrico musicista giapponese. Una grazia fragile e l’essenzialità dei suoni sono difatti elementi condivisi con cui dipingere istantanee diafane pervase da un senso di nostalgico stupore.

La giustapposizione di fraseggi acustici, frequenze sintetiche e risonanze ambientali è sempre alla base delle dieci tracce qui proposte, orientata ancora una volta alla compenetrazione di quell’aura placidamente contemplativa peculiare della terra d’origine di Nakamura e la ricerca di un incanto luminoso accostabile alla pratica sonora di Federico Durand. Ogni paesaggio si snoda con gentile leggerezza costellata da un’intersezione minima, ma perfettamente compiuta di  stille armoniche esaltate da un uso fondamentale della pausa in un gioco virtuoso di pieni e vuoti a cui abbandonarsi senza riserva.

Un microcosmo ammaliante, profondamente evocativo.

Toàn “Volta No Vento”

[IIKKI]

Un soffio soffuso che si espande sinuoso disegnando vaporose scie in quieta evoluzione. È un confronto audio-visivo, che ha il suo tratto comune nella persistente grana che incide suoni ed immagini, quello che vede accostate le trame elettro acustiche di Anthony Elfort  aka Toàn e le fotografie di Gilles Roudière, intersezione artistica da cui nasce la nuova, come sempre bipartita, pubblicazione curata dalla IIKKI di Mathias Van Eecloo. Un’edizione anomala questa, che vede la componente aurale divisa in due distinti e diversi formati fisici.

Fragili ed essenziali nuclei armonici, che navigano su rarefatti fondali dalla marcata consistenza materica, sviluppano dodici delicati bozzetti dall’atmosfera coerente e coesa pensati per essere adeguato commento sonoro della evocativa sequenza di istantanee creata da Roudière. Assecondandone il silente portato immaginifica, le tessiture risonanti disegnano diafani paesaggi emozionali rappresentati attraverso scarni tratti impressionistici che rimandano all’universo sonoro caro a Taylor Deupree (e a coloro che rientrano nel circuito della sua prestigiosa etichetta), non  a caso qui presente in cabina di regia.

È un andare colmo di delicato incanto, tenuamente umbratile, in cui frammenti concreti, echi ambientali e micro-traiettorie acustiche si compenetrano generando un ipnagogico flusso sensoriale.

Monogoto “Partial Deletion of Everything (Vol. 1)”

[12k]

Un silente flusso di coscienza che si dipana sinuoso lasciando emergere tracce di memoria incastrate nel fondo dell’anima. È il primo tassello di un ampio progetto di condivisione questo volume uno pubblicato a firma Monogoto, un itinerario dedicato al processo di creazione, cambiamento e perdita che vede riuniti sotto una comune sigla tre navigati autori quali Ian Hawgood, Porya Hatami e David Newman.

Guidati dall’inarrestabile moto della corrente dell’oceano, dall’incessante scorrere dell’acqua raffigurato in copertina, il trio plasma una lunga sinfonia elettro acustica che vede fusi in un unitario torrente sonoro fragili risonanze armoniche, flebili echi ambientali e vaporosi flussi sintetici. Tali componenti, affiancate e stratificate in costante equilibrio disegnano una meditativa scia ambientale in costante mutamento, perfetta raffigurazione aurale del concetto di impermanenza indagato dal trio.

Dal silenzio, gradualmente si innalza un denso, placido fondale attraversato a tratti da essenziali nuclei melodici o riverberi cosmici generati da sistemi modulari, interpolato da stille materiche che repentinamente si disgregano a testimoniare il costante scorrere del tempo che rende effimero ogni oggetto del reale.

Perfettamente aderente all’estetica cara all’etichetta di Taylor Deupree, questo malinconico mare sonico rapisce e trascina con fare cullante invitandoci ad attendere con ansia l’arrivo della prossima onda emozionale.

aa.vv. “evidence of intense beauty”

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È un obiettivo arduo quello individuato da David Newman della Audiobulb Records alla base della raccolta “Evidence of Intense Beauty”. L’intento difatti è quello di riunire in un album la personale trasposizione in suono dell’idea di cristallina bellezza di diciassette diversi sound artist. Ad ognuno di questi è stato chiesto di individuare una traccia edita o composta appositamente da inserire in questo suggestivo e variegato percorso condiviso.

Il risultato della selezione curata da Newman restituisce una lunga narrazione all’insegna di minimali scorci elettroacustici, che pur se definiti attraverso la peculiare sensibilità del singolo musicista riescono a raggiungere una coralità coesa e coerente. Con estrema naturalezza l’idea di intensa bellezza si travasa dalle calde e morbide trame cullate dal rumore delle onde disegnate da Clem Leek in “At the mercy of the waves” alla stasi luminosa e quieta di “Slate di Wil Bolton, dalla vaporosa sospensione dell’estratto di “Sea last” di Taylor Deupree alle granulose screziature di “Heated dust on a sunlit window” dello stesso Newman sotto l’abituale alias Autistici. Si procede rapiti da una costante sensazione di stupore che assume man mano le sembianze della preziosa miniatura pianistica di “Feeling My Way Blindly Back Home” firmata da Ian Hawgood , delle più crepuscolari risonanze di “Cascadia Obscura” di Marcus Fischer, degli intarsi luminosi velati da una sottile grana ruvida di “Autumn” di Porya Hatami o della nostalgica melodia di “301210” di Antonymes. Attraverso gli ulteriori preziosi contibuti di Sawako, The OO-Ray, A Danging Beggar, Causeyourfair, Richard Chartier, Melodium, Monty Adkins, Listening Mirror si giunge fino all’eterea e dilatata conclusione di “Fading colours” di Pascal Savy che ci lascia galleggiare in un universo sconfinato fatto di pura emozionalità.