Aaron Martin   “The End of Medicine (Original Score)”

[Lost Tribe Sound]

Una preminente impronta cinematografica ha sempre permeate gli itinerari sonori plasmati da Aaron Martin, non sorprende quindi vederlo protagonista di un’intera colonna sonora. L’occasione gli viene offerta da Alex Lockwood in relazione alla produzione del documentario “The End Of Medicine” incentrato sulle problematiche derivate dalla diffusione crescente di  malattie zoonotiche.

Affidandosi come d’abitudine ai prolungati riverberi del violoncello e alle risonanze diluite del banjo suonato con l’archetto, a cui sporadicamente si affiancano misurati elementi percussivi, il musicista americano confeziona un commento sonoro profondamente elegiaco dominato da toni grevi e atmosfere crepuscolari. Le diciannove tracce proposte – molte delle quali sono poco più di brevi frammenti – assolvono il compito rimanendo estremamente  fedeli ad un lessico consolidato che ha saputo offrire negli anni tracciati immaginifici di ottima fattura quali l’eccelso “Comet’s Coma” realizzato come punto sulla virtuosa mappa eilean.

Scisso dalle immagini per cui è stato scritto, l’album si propone autonomamente così come ennesima dichiarazione di un talento cristallino che non smette di emozionare.

Aaron Martin “Test Subjects (Original Score)”

Suono che si affranca dalla visione per divenire autonoma narrazione, testimonianza di un percorso artistico sempre più ricco e solido. Torna a sonorizzare immagini in movimento Aaron Martin, occupandosi del commento di un breve documentario girato da Alex Lockwood  incentrato sulle riflessioni di tre ricercatori alle prese con dubbi etici legati alla sperimentazione animale.

Scissi dal contenuto visuale, i frammenti risonanti rivelano pienamente ancora una  volta il profondo portato emozionale insito nelle trame armoniche plasmate dal musicista americano, sempre incentrate sulla voce dolente ed enfatica del violoncello che si espande avvolgente e sinuosa.

Un quarto d’ora di toccante incanto che rapisce e morbidamente seduce.

Porya Hatami | Aaron Martin | Roberto Attanasio “Sallaw”

[dronarivm]

Tratti morbidi e campiture tenui  che emergono dalla densa nebbia dell’oblio per riaffermare l’inesorabile scorrere del tempo scandito dal succedersi delle stagioni. È su un evanescente territorio risonante, privo di coordinate definite, che si incrociano Porya Hatami, Aaron Martin e Roberto Attanasio per dare origine ai quattro movimenti di questa placida sinfonia plasmata fondendo in un unico flusso la loro peculiare visione artistica.

Come gemme che lentamente si dischiudono per offrirsi nella loro totale bellezza, le tracce costruite dai tre musicisti seguono un tracciato evolutivo che vede accostarsi e sommarsi le granulose frequenze sintetiche di Hatami, le sinuose traiettorie di Martin e i carezzevoli fraseggi di Attanasio fino a raggiungere una corale armonia in cui ogni elemento ha l’identico peso. È una nube di suono che prende forma gradualmente librandosi in esatto equilibrio tra lessici differenti tenuti insieme da un approccio condiviso. Con semplice ed inattesa grazia, persistenze a tratti ruvide ed inquiete accompagnano l’andare dolente e nostalgico delle tessiture del violoncello generando un evocativo fondale su cui lasciare cadere le cristalline stille pianistiche che completano ogni istantanea di questo avvolgente sequenza di paesaggi emozionali capace di costruire un ideale ponte tra universi distanti eppure pienamente compatibili.

Un incontro da cui sprigiona in tutto il suo splendore la preziosa forza della contaminazione.

gavin miller (feat. Aaron martin) “meander scars”

[lost tribe sound]

cover

Suono che fluisce lento e sinuoso scavando profonde tracce nell’immaginario di chi si abbandona al suo quieto scorrere. È una corrispondenza intensa e magnetica a legare le scie risonanti di Gavin Miller alle immagini del paesaggio che ne ispirano l’origine, un legame intimo generante una lunga narrazione dai tratti contemplativi ed immaginifici.

Pensato inizialmente come un’unica sinuosa traiettoria divisa in quattro movimenti, plasmata da meditative trame acustiche di chitarra ibridate da dimesse frequenze sintetiche e flebili modulazioni granulose, il lavoro compositivo del musicista inglese ha trovato espansione attraverso il prezioso contributo di rifinitura affidato ad Aaron Martin. Aderendo con esattezza al portato evocativo perseguito da Miller, il talentuoso artista americano ha implementato l’essenziale percorso armonico conferendo alle sue ipnotiche movenze le elegiache sfumature scaturenti dal suono del suo violoncello. Quello che si instaura è un pacato dialogo in graduale evoluzione interamente imperniato sul costante svelamento di nuovi minuziosi dettagli che rendono tortuoso e affascinante un andamento solo apparentemente immutabile.

Le due parti che strutturano il disco raccogliendo le diverse versioni del racconto, “Upper Course” quella più ricca e dinamica determinata dall’incontro con Martin e “Lower Course” quella originaria più scarna e silente, confrontandosi restituiscono una visione duplice eppure proiettata verso lo stesso orizzonte, dimostrando come si possa raggiungere la medesima meta proseguendo lungo tracciati differenti.

aaron martin “touch dissolves”

[iikki]

cover

Immersi nel reale, pronti ad estrapolarne tasselli da rimodulare per comporre un immaginifico percorso fatto di rimandi e assonanze. È tra i suoni di Aaron Martin e le immagini di Yusuf Sevinçli che si instaura il nuovo dialogo sinestetico curato da IIKKI, confronto che conduce verso un universo surreale nutrito dalla fervida immaginazione di due artisti proiettati ad esplorare territori inafferrabili pervasi da trame inattese.

Seguendo il flusso del bianco e nero pervaso di istinto e simbolismo del fotografo turco, Aaron Martin costruisce una galleria sonora in cui le consuete tessiture variamente ottenute dal suo violoncello si combinano generando elegiache traiettorie armoniche. Ci si ritrova così ad assistere al propagarsi di lievi danze di stille armoniche che si muovono su un fondale languido come stelle che brillano nel buio della notte (“A child’s arms are moonlight”), all’incedere di cullanti trame di corde pizzicate (“The space above overflowing”, “To stems unclasped the petals cling”) o all’espandersi di sinuose partiture che lasciano emergere il lirismo dello strumento in tutta la sua avvolgente enfasi (“Water Reads What Fingers Have Written”).

È un andare flessuoso che a tratti diviene frammentario mutuando l’andamento apparentemente accidentato delle foto di cui sono eco, ma che non abbandona mai realmente la traiettoria scelta realizzando un nuovo, splendido itinerario di disarmante bellezza.

 

aaron martin “adam”

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Una vita all’apice che improvvisamente muta direzione, uno sguardo proiettato verso un futuro lontano costretto a confrontarsi con una contingenza difficile. Quella di Adam è una storia difficile, il racconto di un percorso vitale bruscamente scosso. Ma non è l’immagine di una resa. È con la caparbietà della giovinezza che il surfista sudafricano continua a scivolare sulle onde dell’oceano affrontando l’inatteso.

A raccontarne la storia è William Armstrong con un breve cortometraggio il cui potente portato narrativo trova perfetta eco nelle tessiture composte da Aaron Martin a commento delle immagini in movimento. Un confronto non nuovo per l’artista americano, che nell’arco dei neanche cinque minuti del video riesce a regalarci attraverso le sue trame acustiche una marea emozionale travolgente. Un flusso diviso in quattro fugaci movimenti a cui si aggiungono due ulteriori frammenti che non trovano spazio nel film.

Un condensato di sensazioni disarmanti.

“Everybody Reads a Wave Their Own Way”


aaron martin “a room now empty”

[preserved sound]

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L’evanescente  fluire di flebili tracce del passato generanti travolgenti onde emozionali che invadono la solitudine di  una stanza vuota. Dirige nuovamente il suo sguardo verso immaginifici luoghi della memoria Aaron Martin tornando a pubblicare un lavoro personale ad anni di distanza dalla meravigliosa  danza cosmica di “Comet’s coma”.

A partire dal suono del suo violoncello, declinato utilizzando tecniche e modalità ampie e variegate, il musicista americano disegna un intimo percorso fatto di sinuose fluttuazioni dal tono solenne che si dispiegano assecondando avvolgenti spirali ascendenti di frequente arricchite  da preziose sfumature derivanti dall’utilizzo di un ampio numero di strumenti. In questo modo alla struggente liricità di partiture essenziali fanno eco delicati bozzetti resi ancor più vividi da sussurrati arpeggi e dilatate fughe di vibranti risonanze contemplative.

Sono presenze vaporose e nostalgiche quelle plasmate da Aaron Martin, fragili echi di sensazioni distanti nel tempo eppure ancora profondamente percepibili che dissolvendosi lasciano in balia di un assordante silenzio.

Chiudete gli occhi e aprite il cuore.

aaron martin & machinefabriek “seeker”

[dronarivm]

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Spigolose particelle sintetiche in disgregazione che combinandosi alla dolente grazia  delle tessiture del violoncello generano una trama sonora alla quale affidare le movenze di corpi che si incontrano sulla scena. Arriva dal recente passato la materia della nuova collaborazione tra Aaron Martin e  Rutger Zuydervelt, precisamente dal 2012 quando il coreografo spagnolo Iván Pérez  li coinvolse alla realizzazione delle musiche per il suo spettacolo “Hide and Seek”. I nove brani che compongono “Seeker” nascono difatti dalla rimanipolazione e dall’affinamento del materiale composto per l’occasione, un’unica lunga traccia presente adesso come bonus track digitale.

Nette e distinte convivono in pregevole equilibrio le due anime dalle quali il suono scaturisce, disegnando plastiche traiettorie definite dall’accostamento di dure frequenze elettroniche tendenti alla costruzione di distorte tessiture algide e riverberanti trame acustiche esplicate sotto forma di dense maree emozionali (“Wings in the grass”, “Seeker”) o leggere danze di note pulsanti (“Arms turn slowly”, “Leaves are swimming”). Il tono si muove costantemente in bilico tra una tenue luminosità avvolgente e un senso di greve drammaticità che trova il suo culmine nelle crepuscolari dilatazioni di “Close to dark”.

Una vibrante sequenza che definisce un’efficace sinergia in costante consolidamento.

aaron martin & dag rosenqvist “menashe”

[wayfind records]

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Il senso del sacro definito attraverso fluttuazioni vaporose intrise di una visionarietà solenne. Si ritrovano nuovamente uniti in un percorso condiviso Aaron Martin e Dag Rosenqvist , anche se non accomunati sotto lo pseudonimo From The Mouth Of The Sun , in occasione della realizzazione della colonna sonora di “Menashe”, pellicola di Joshua Z Weinstein che narra una storia ambientata nella comunità ebraica di Brooklyn.

I nove bozzetti plasmati dai due artisti utilizzando la consolidata fusione tra fluide trame acustiche e fondali evanescenti in costante espansione disegnano un breve viaggio che si muove tra una danzante luminosa leggerezza e una percepibile vena malinconia enfatizzata dalle stille pianistiche che dialogano con le enfatiche tessiture di violoncello.

Pur rimanendo sostanzialmente brevi frammenti, le tracce di questo commento sonoro evidenziano ancora una volta la capacità dei due musicisti di creare un impianto sonoro ricco e mutevole attraverso l’utilizzo di un ampio numero di strumenti combinati in flussi emozionali avvolgenti e coinvolgenti.

aaron martin & leonardo rosado “in the dead of night when everything is asleep”

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Scorrono lente e profonde come il pensiero  in una notte insonne le sei crepuscolari e vibranti sinfonie nate dall’incontro artistico tra Aaron Martin e Leonardo Rosado. Una collaborazione sviluppatasi a partire da un’affinità che si muove lungo dinamiche differenti  capaci di fondersi in un’unità al tempo stesso coesa e divergente.

Il dialogo a distanza tra i due autori prende corpo a partire dagli scenari concreti costruiti da Rosado attraverso un lavoro di raccolta e manipolazione di suoni ambientali catturati con l’ausilio dei suoi figli, fondali crepuscolari di grana sottile sui quali si innestano le trame dilatate e malinconiche del violoncello e degli altri strumenti utilizzati da Martin. La sintesi tra gli elementi  che compongono il flusso narrativo si muove costantemente in equilibrio, senza che nessuna delle parti predomini sull’altra, evidenziando così la ricchezza di suoni e sfumature che caratterizza il disco.

Non c’è soluzione di continuità nel susseguirsi delle tracce, che come i titoli che le definiscono  compongono nel loro insieme un lirico racconto di una intensa e meditabonda fuga in una dimensione in cui tutto sembra voler rimanere indefinito e sospeso.