Alessandro Barbanera   “Oblio”

[rohs! records]

Scampoli trattenuti del passato in inesorabile dissolvimento, memoria che lentamente si fa polvere pronta ad essere spazzata via da un vento profondamente malinconico. L’Oblio disegnato da Alessandro Barbanera è un processo quieto, minuzioso attuato a partire da particelle minime  estrapolate dal repertorio classico e combinate all’elegia di riferimenti letterari, nonché ad una sensibilità ambient-drone fatta di trame flessuose sviluppate su un substrato denso quanto vaporoso.

Visti gli intenti risulta inevitabile tornare ai loop in decadimento del capolavoro di Basinski o alla monumentale opera in sei capitoli eretta da Leyland Kirby sotto l’alias The Caretaker, ma le affinità con entrambi i lavori si fermano all’atmosfera ricercata. La materia plasmata dal musicista umbro, pur con medesimo senso di infinita nostalgia, sceglie la via della reiterazione solo in parte – in modo pronunciato soprattutto in La même vieille chanson – preferendo evolvere come corrente sempre più nebbiosa che ingloba echi ambientali e flebili screziature. Dell’hauntologia  di Everywhere at the End of Time possiede la spettralità incrementale, che diviene dominante granulosa nel quasi finale di …are fading. Idealmente infatti il viaggio si chiude con una non-traccia fatta di assoluto silenzio, eco della definitiva caduta nell’oscurità dei ricordi perduti.

Alessandro Barbanera “Haunted Houses”

[laverna.net]

Attraverso una notte malinconica, galleggiando in un mare di vaporoso suono. È un elegia agrodolce che si espande tra gravida solitudine e barlumi di rinnovata speranza quella plasmata da Alessandro Barbanera nel suo nuovo tracciato sonico, un’onirica sequenza di diluite sensazioni che assumono la forma di vivide istantanee emozionali.

Assecondando una vitale inquietudine sprigionatasi durante il periodo di forzato isolamento, rivolgendo lo sguardo al proprio spazio interiore, il musicista umbro distilla una mutevole traiettoria nutrita da lenti correnti elettriche che si irradiano placide su un granuloso fondale di sfaccettati echi ambientali, ruvidi riverberi analogici e risonanze concrete estratte da fonti incontrate in modo inatteso.

Il viaggio, sospeso tra sonno e veglia, si dischiude su paesaggi rarefatti, densamente pervasi da un senso di tragico ed indissolubile vuoto che diviene nostalgico soffio irradiantesi verso un orizzonte morbidamente oscuro (“Sleepless”, “In Absence”), improvvisamente intriso di suggestioni letterarie (“The death of Joe Christmas”) prima di tramutarsi in dolente abisso emotivo (“Torture Room”). Un algido vortice di rumorosi echi e taglienti frammenti in libero fluire (“Haunted Houses”) segna in modo netto il cambio di rotta che conduce verso un finale rischiarato da una calda luce che squarcia le nette ombre fin qui dominanti per introdurre uno sguardo più disteso che si riappropria di un sentimento arioso sinonimo di una raggiunta catarsi (“Pure”, “Endless”).

Atmosferico peregrinare nelle profondità dell’animo.

Alessandro Barbanera “In the middle of the path”

Un respiro profondo, un lungo attimo di riflessione prima di ricominciare l’accidentato viaggio chiamato vita. Intimo ed inquieto è il tragitto che Alessandro Barbanera ci offre nel suo “In the middle of the path”, traiettoria biografica di fluenti paesaggi emozionali pervasi da suggestioni letterarie e forbiti riferimenti classici.

Densi vapori in graduale espansione si innalzano costruendo sature istantanee che danno forma ad universo sensoriale al tempo stesso coerente e sfaccettato, specchio di un’interiorità in tumulto che si addentra tra il peso della caducità del tempo, l’oppressione dell’appartenenza ad un tessuto sociale stritolante e i riflessi di una condizione umana che tende sempre più all’affrancamento dalle passioni. Ognuno di questi moti viene trascritto come atmosferico flusso di modulazioni droniche finemente cesellate, compatto torrente risonante costellato da minute frequenze in filigrana che ne scandiscono l’incedere, che si muove tra territori algidi, ostili profondità interiori ed oscuri echi hauntologici fino a riversarsi in una terminale distesa sonica priva di margini in cui immergersi alla ricerca della quiete perduta.

Avvolgente percorso tra le pieghe di un’anima che contempla se stessa.