Benjamin Finger “Voice Frames”

[whitelabrecs]

Autore attivo in numerosi campi artistici, Benjamin Finger si è rapidamente segnalato come produttore poliedrico capace di alternare itinerari profondamente diversi, a tratti divergenti. In questo nuovo lavoro uscito per la label inglese Whitelabrecs il musicista norvegese converge ancora una volta verso territori atmosferici contraddistinti da una marcata propensione alla sperimentazione elettroacustica.

Dalla combinazione di scie droniche di chitarra effettata, synth lucenti, sparuti field recording ed trame vocali eterogenee, prendono forma undici tracciati incentrati sulla memoria, l’isolamento e il senso di perdita. Aderendo al portato emozionale dell’attualità pandemica, Finger costruisce paesaggi hauntologici che alternano toni e atmosfere cangianti. Accomunati da questo portato comune scorrono tracciati innestati su frequenze armoniche malinconicamente contemplative (“Voice Frames”, “Time Gesture”), modulazioni rarefatte a cui il canto diafano di Inga-Lill Farstad conferiscono un’impronta di solennità (“Captured Past”) e delicate reiterazioni melodiche pervase da leggere stille pianistiche (“Memory Path”). Nella seconda parte del percorso trovano spazio frangenti sempre più oscuri percorsi da fremiti ruvidi (“Suspense Act”, “Fragments Care”), proiettati verso scenari irregolari, quasi dissonanti (“Brighter Mind”) che si spengono gradualmente in un obliquo mare in dissolvenza (“Forlorn Loss”).

Una sequenza di istantanee distorte come scene di vita recuperate dall’universo sbiadito dei ricordi, immagini perfettamente rappresentate dalla foto enigmatica scattata dallo stesso Finger con una Kodak analogica che campeggia sulla copertina del disco.

Benjamin Finger “Less One Knows”

[Dead Definition]

Un territorio sempre più ampio e sfaccettato nel quale immergersi consapevoli di ritrovarsi in balia di continui cambi di scena. Giunto al suo quattordicesimo album, continua ad espandere la sua tavolozza sonora Benjamin Finger seguendo il suo innato eclettismo che nel corso degli anni lo ha visto muoversi tra atmosferiche visioni elettroacustiche, scarne partiture pianistiche e derive elettroniche di matrice marcatamente ritmica.

Sorprende quindi solo in parte l’acida dimensione onirica in cui proietta la sequenza di queste undici nuove tracce, vere e proprie derive chitarristiche in bilico tra placida contemplazione (“Head Fading Blues”) ed incalzante furore elettrico (“Open Phase”). Un’ambivalenza dai tratti cinematici presente lungo l’intero evolversi del lavoro, che però a partire dalla title-track si nutre di continue, inattese variabili conducendo verso traiettorie oblique e vorticose in cui trovano spazio destrutturate forme canzone (“Crushed At Sea”, “Once Upon A Dirty Sound”) ed escursioni verso paesaggi ibridi che incrociano scansioni melodiche e frequenze sintetiche (“Foggy View”).

Un viaggio sonico intriso di emozionalità che apre verso un orizzonte inedito nella pur caleidoscopica produzione di un artista in costante evoluzione.  

Benjamin Finger/James Plotkin/Mia Zabelka “Pleasure-Voltage”

[Karlrecords]

Un vortice onirico in cui perdersi travolti da allucinate frequenze e scabrose scie elettriche, un immersione in bilico tra sogno e incubo che trasfigura la realtà in un destabilizzante immaginario caleidoscopico. Dopo aver esplorato negli ultimi anni svariate traiettorie sonore, Benjamin Finger abbandona momentaneamente la dimensione solitaria per avvalersi della preziosa collaborazione di Mia Zabelka e di James Plotkin, costruendo insieme a loro questo suo nuovo ibrido tracciato in bilico tra avvolgenti sonorità d’ambiente e oscuri scenari dronici.

Incrociando scie sintetiche, graffianti trame chitarristiche, estratti ambientali e risonanze acustiche i tre musicisti creano due lunghi torrenti sonici pervasi da frammenti eterogenei, in parte derivate da fonti concrete indefinite, liberamente combinati secondo destrutturati flussi densamente irrequieti. Da questo lisergico magma emergono convulsamente indeterminati echi vocali dall’incedere ammaliante che contribuiscono a rendere ancor più obliquo e spettrale una materia già di per sé profondamente  sfuggente.

Un enigmatica duplice deriva attraverso immaginifici territori intuibili ma mai pienamente definiti.

benjamin finger “into light”

[forwind]

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Sinuosi movimenti in graduale sviluppo che lentamente definiscono cinematiche sequenze pervase da insondabile mistero. Emerge prepotente da questo nuovo lavoro l’approccio sfaccettato e multidisciplinare che contraddistingue l’attività artistica di Benjamin Finger, trovando efficace formalizzazione in due lunghe narrazioni dall’andamento avvolgente entrambe precedute da un relativamente breve prologo.

Attraverso un processo di estesa ibridazione tra trame elettroacustiche, frequenze sintetiche ed echi neoclassici il musicista norvegese plasma atmosferici tracciati in cui enfatiche linee armoniche si fondono a scie rumorose di intensità variabile generando un coeso flusso immaginifico.

Introdotto dalle ruvide fluttuazioni di “A glimpse”, la prima metà del disco è occupata dal cullante espandersi di “Gravity’s jest” costruito sul reiterarsi della dolente voce del violoncello di Elling Finnanger Snøfugl il cui incedere è reso vischioso dalla compenetrazione di modulazioni spettrali e inserti ambientali che ne saturano la scarna struttura resa cangiante dalla comparsa della voce di Inga-Lill Farstad in sostituzione del suono dello strumento. Analogamente mediata dall’ariosa persistenza di “Into light”, la seconda parte dell’album vede i medesimi componenti riproposti secondo differenti modalità in “Paradox route”. Maggiore spazio occupano gli evanescenti vocalizzi della Farstad conferendo alla prima metà della traccia un’aura allucinata di sospensione in parte smorzata dalle oblique ed enfatiche movenze del violoncello che ricompaiono nel tratto conclusivo di una spirale sempre più indefinita e convulsa.

Un nebbioso notturno profondamente magnetico.

benjamin finger “scale of blindness”

[eilean]

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Immersi in un caleidoscopico mare di sfaccettate modulazioni in costante mutazione. L’estrema duttilità di Benjamin Finger, capace di spaziare da territori marcatamente pulsanti a diafani paesaggi acustici, non è certamente un mistero e una nuova conferma della sua poliedricità ci giunge dal suo secondo contributo alla definizione della eterogenea mappa della francese eilean records.

L’artista norvegese non sceglie un taglio definito per questo suo nuovo viaggio, preferendo piuttosto far confluire molteplici esperienze pregresse in un immaginifico universo sensoriale difficilmente catalogabile. È una sinuosa deriva ambientale quella plasmata da Finger, capace di trasportare con naturalezza e consequenzialità dalla cosmica ambience pervasa da sottile grana  di “Halogen Flux” fino al conclusivo approdo definito dalle placide fluttuazioni di “Vanishing Faces”, attraversando convulsi vortici lisergici (“Anxiety Blues”), spettrali riverberi ossessivamente reiterai (“If Memory Preserves”), dense persistenze dall’incedere obliquo (“Vagabond Void”), cupe frequenze tremule (“Fragrant Darkness”), dilatazioni dal tono solenne (“Earview Map”) e inquiete tessiture acute (“Failing A Sleep”).

Una liquida spirale che assume nuova forma ad ogni passaggio.

benjamin finger “for those about to love”

[flaming pines]

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L’amore è travolgente caos, burrasca che vorticosa proietta nell’alternarsi repentino di stati di beatitudine e tumultuose apprensioni.  A raccontarlo è l’eclettico Benjamin Finger che con questo nuovo lavoro dai tratti fortemente atmosferici conferma nuovamente di avere, almeno per il momento, abbandonato le sue escursioni verso territori ritmici accentuati.

Scie rumorose, frammenti melodici ed oblique frequenze sintetiche vengono combinate dal musicista norvegese generando una visione trasversale attraverso caleidoscopici frangenti che rappresentano l’intero convulso spettro di sensazioni correlate al sentimento indagato. Ci si ritrova così a rimbalzare tra allucinate distorsioni dall’incedere cupo (“Lipstick shades”, “Eyeball humidity”) e cullanti inquietudini cibernetiche (“Midnight wolves”), navigando tra morbide derive oniriche (“Ultraviolet light”) e disgregate saturazioni dallo sviluppo ossessivo (“Transparent mind”, “Misteriose vignette sonore”).

Dal sapiente accostamento di queste tracce dal tono estremamente variegato scaturisce una spirale emozionale coinvolgente il cui persistente equilibrio dimostra ancora una volta la versatilità di un artista costantemente alla ricerca di tracciati da esplorare.

benjamin finger “ghost figures”

[oak editions]

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Presenze diafane ed informi che si muovono lievi attraverso nudi fondali evanescenti. Dopo aver percorso diverse strade all’insegna della sperimentazione più varia, culminata nell’incursione nel mondo delle pulsazioni perentorie di “10”, Benjamin Finger torna ad esplorare sentieri  all’insegna di rarefatte ambientazioni emozionali.

“Ghost figures” è una raccolta di essenziali e umbratili racconti pianistici densi di malinconico calore. Nate da una serie di solitarie sessioni  rielaborate successivamente in studio, le quattordici tracce che lo compongono costruiscono un percorso in bilico tra luci e ombre fatto di scarne e intimistiche melodie che a tratti trovano completamento in misurati contributi affidati al violoncello di Elling Finnanger Snøfugl (“Shadow Figures”, “Shred Of Evidence”, “Moment Arises”) o in flebili innesti di suoni concreti e riprese ambientali (“Strings Attached”, “Drop Effect”). La circolarità ed insistenza delle minimali trame costruite dall’artista norvegese conferiscono al flusso un’oscura spettralità che diventa l’elemento caratterizzante del disco.

È un viaggio sonoro intenso e viscerale quello proposto da Finger, una narrazione da assaporare in assenza di qualsivoglia sovrastruttura abbandonandosi appieno all’immediatezza e al senso di vaporosa libertà.

 

benjamin finger “10”

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Preannunciata dalla pubblicazione dell’ep “9,5” arriva a compimento la tappa dance della prolifica e sfaccettata produzione musicale di Benjamin Finger. Sono infatti le pulsazioni ritmiche ad essere assolute protagoniste del nuovo lavoro pubblicato da Sellout! Music.

Nei dieci brani che lo compongono non sono comunque totalmente assenti i tratti sonori a noi più cari che contraddistinguono l’abituale lavoro dell’artista norvegese. Le linee ritmiche infatti si incrociano e si fondono a tratti con frequenze granulose e ruvide (“Ibitchian Raper”, “Jive Ass Screamers “) o si combinano in flussi amniotici avvolgenti e accattivanti (“Party Corpse”, “Kiddie Ninja Weekend”).

Chiusa questa efficace parentesi da beatmaker, attendiamo un ritorno ad una dimensione più quieta e meditativa che ci riporti verso orizzonti più congeniali o una nuova spiazzante trasformazione. Restiamo in ascolto.

benjamin finger “9,5”

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Ci è ormai decisamente nota l’estrema eterogeneità della fertile produzione musicale di Benjamin Finger, che ad ogni capitolo svela nuovi elementi sui quali costruire un percorso artistico che sfugge a qualsiasi categorizzazione. Non delude in tal senso “9,5”, suo nuovo ep pubblicato da Sellout! Music.

Le tre tracce che compongono il disco miscelano in modo sapiente vaporose modulazioni sintetiche, trame ruvide ed elementi vocali che si intrecciano su pulsazioni ritmiche che invitano al ballo. Questa componente più leggera informa soprattutto l’iniziale “Pˈɒp mjˈuːzɪk‏”, mentre un incedere più ipnotico e siderale struttura le tessiture di “Party Corpse (extended)”, rimandando in parte alle sperimentazioni di “Motion Reverse”. Tutto si chiude con i suoni graffianti e caotici e sicuramente meno immediati di “Orange Monday”,  il brano più interessante di questo piccolo lotto.

Ancora una volta quindi l’artista norvegese è riuscito a rimescolare le carte tirando fuori qualcosa di inedito ed inaspettato. Non ci tocca altro che attendere la prossima mossa.

benjamin finger “amorosa sensitiva”

Blue Tapes - Benjamin Finger - Amorosa Sensitiva - Artwork by David McNamee

Sembra inarrestabile la vena compositiva di Benjamin Finger, che sta per pubblicare per la Blue Tapes and X-Ray Records il suo nuovo lavoro “Amorosa sensitiva”. Ancora una volta cambiano le coordinate su cui si muove la produzione dell’artista norvegese, anche se più che mai in questo nuovo capitolo sembrano confluire tutte le sue passate esperienze amalgamate con ulteriori influenze che popolano il suo immaginario.

Il risultato è quanto di più eterogeneo si possa immaginare, un flusso vagamente onirico dai forti connotati cinematografici, che passa repentinamente dalla luce all’ombra, dal caos alla quiete. Compresenze che si ritrovano anche all’interno dei singoli brani, come nell’iniziale “Headspincrawl” che si apre con ariose atmosfere ambientali  e poi lentamente vira verso un finale dissonante fatto di vaghe pulsazioni ritmiche e graffianti droni che prendono il sopravvento. Il suono malinconico del violoncello permea invece la successiva morbida stasi di “When face was face”, la cui delicatezza si ripercuote anche in “Waltz in Clay” fino alla folle esplosione di “Whirlbrainpoolin”, caratterizzata dai fraseggi di chiara derivazione free jazz del sassofono e dalle oscure trame del basso. Torna la quiete e la malinconia con il suono del piano di “Bum Finger Notes” che lentamente lascia il posto ad un fraseggio di chitarra elettrica venata di lieve inquietudine che sembra ormai aleggiare sul fluire del disco e che ci conduce alla dilatata atmosfera finale di “Darnskullgreyness”.

Vasta gamma di sensazioni e improvvisi mutamenti di umore sono quindi l’essenza di questo “Amorosa sensitiva” che si propone come una  ampia tavolozza di possibili paesaggi interiori legati maggiormente ad un sentire inconscio che non ad una consapevole osservazione del reale. Benjamin Finger continua a spiazzarci piacevolmente confermandosi musicista capace di attingere la sua ispirazione dalle fonti più disparate.