Francesco Covarino   “Nido”

[tsss]

Una dimora accogliente, una serena e dolce intimità d’affetti espressa attraverso la musica.
Si potrebbe sintetizzare così l’essenza di questo breve quanto delicato paesaggio sonoro in due parti cesellato da Francesco Covarino con il contributo inconsapevole della sua bambina, restituzione essenziale di una complicità connaturata tradotta in fugace traiettoria intrisa di cristallina bellezza.
Una chitarra elettrica pizzicata con incedere incerto e le risonanze rilucenti di vari strumenti giocattolo sono gli unici elementi necessari per dare vita a questa istantanea emozionale impreziosita da tattili riverberi ambientali e soprattutto dal vociare allegro di una figlia intenta al gioco e alla ricerca del contatto paterno.
È un sussurro che scivola via con leggerezza, un ambiente aurale apparentemente fatto di nulla ma capace di far vibrare ogni corda dell’anima di chi non può rimanere indifferente ad una profonda espressione d’amore. Toccante.

francesco covarino “olive”

[thirsty leaves music]

Francesco Covarino - Olive - cover.png

23 settembre 2016. Un luogo nella città di Granada. Un evento importante alle porte. Isolato in uno spazio circoscritto Francesco Covarino scioglie momentaneamente il suo sodalizio con Alessandro Incorvaia per lasciare fluire libere le proprie sensazioni raccolte nel suo primo lavoro solista.

“Olive” raccoglie quattordici improvvisazioni registrate nell’arco di un’unica sessione, brevi bozzetti atmosferici dal carattere fortemente narrativo costruiti attraverso sequenze ritmiche scarne e assolutamente non inclini ad un gratuito sfoggio virtuosistico. Appare scelto con cura il singolo battito, viene concesso il giusto spazio per risuonare ad ogni fraseggio. Tutto scorre stringato e privo di fretta, eppure emerge un’urgenza espressiva che punta sull’essenzialità riducendo velocità e densità. Solo per brevi tratti l’incedere abbandona il suo caldo e placido flusso per formalizzarsi in trame più nervose e torrenziali (“oliva 85”, “oliva 55”) che rapide si spengono per tornare a convergere verso un immaginario pulsante fatto di colori tenui e morbide sfumature.

Un disco percussivo di spiazzante delicatezza pregno del profondo e prezioso influsso di una paternità imminente.

covarino/incorvaia “chiodi”

[preserved sound]

cover

Rarefatte scie che si espandono flessuose, libere di muoversi ed intrecciarsi con l’ambiente nel quale riverberano. Rimanendo totalmente fedeli al principio di pura improvvisazione che ha caratterizzato le loro prime due uscite discografiche, il duo formato da Francesco Covarino e Alessandro Incorvaia torna a ritrovarsi in studio, ancora una volta a Granada, per dare vita ad un nuovo itinerario sensoriale definito dal connubio di linee percussive e trame chitarristiche.

Proseguendo lungo la traiettoria individuata nel precedente lavoro, i due musicisti trovano nei tre movimenti di “Chiodi” un rinnovato equilibrio maggiormente imperniato sulle pause e sui tempi di riverbero di ciascun suono prodotto. Scompare totalmente ogni scambio serrato tra le parti in causa, qui accostate e articolate secondo sommesse traiettorie a cui si sommano un coacervo di rumori ambientali e risonanze meccaniche catturate in presa diretta utilizzando una serie di microfoni dislocati nello spazio. È come sempre un dialogo a due, ma privo di qualsiasi volontà di isolamento, tanto da scegliere di lasciare fisicamente aperto uno spiraglio che consentisse alla voce della città di essere inclusa nel quieto fluire delle tessiture acustiche. Tutto ciò conduce alla definizione di un sodalizio capace di espandere i propri confini ad ogni nuova prova evitando di incorrere in sterili riproposizioni di una formula collaudata.

Errare senza meta in una realtà vissuta come un placido sogno ad occhi aperti.

covarino/incorvaia “granada”

[whitelabrecs]

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Placidi intrecci immersi in una luce morbida e avvolgente, la languida quiete del mediterraneo che si espande sinuosa. Il sodalizio artistico tra Francesco Covarino e Alessandro Incorvaia, nato lo scorso anno dal ritrovarsi dopo anni nella loro città d’origine, giunge alla sua seconda tappa attraverso un nuovo incontro, questa volta in terra spagnola ed esattamente nella città dove attualmente risiede Covarino.

E dell’aura del luogo in cui è stato registrato in presa diretta sono colme le sei improvvisazioni che compongono il lavoro, tracce fluide costruite attraverso riverberanti fraseggi sommessi  privi di quello scambio teso e serrato che contraddistingueva il dialogo tra i due musicisti nel loro disco d’esordio, spogliato anche dei limitati contributi che vi comparivano.

Il suono scorre vaporoso e vagamente sognante, segnato dalla ricchezza ritmica di Covarino che raramente si impone in modo assoluto divenendo deflagrante (“Granada #4”) e dalle trame essenziali di Incorvaia che scivolano a tratti verso persistenti rarefazioni capaci di dischiudere declinazioni ambientali eteree (“Granada #3”) o si strutturano in dominanti linee melodiche dall’incedere malinconico (“Granada #6”).

Non rimane che chiederci in quale luogo si cristallizzerà il nuovo punto di questo progetto sempre più sfuggente ed errante.

 

covarino/incorvaia “perugia”

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Niente trucchi, niente correzioni, ma affidarsi soltanto ad una sintonia rapidamente ritrovata malgrado una lunga essenza. Sono questi i presupposti dai quali nasce l’opera prima del duo formato dal percussionista Francesco Covarino e dal chitarrista Alessandro Incorvaia, ritrovatosi dopo 14 anni a suonare di nuovo insieme nella loro Perugia.

Le cinque tracce che compongono il disco, pubblicato dall’inglese Preserved  Sound, sono dialoghi tesi e serrati fatti di fitte improvvisazioni su strutture cangianti che variano dalle ossessive spirali in crescendo di “#1” e “#3” fino ai placidi e malinconici intrecci della conclusiva “#6”, passando attraverso le trame più libere e destrutturate di “#2” e dalla breve ariosa solarità di “#5”. Le atmosfere delineate rimandano a sonorità degli anni 90, in particolar modo al post rock di band di culto quali i Tortoise, che qui si arricchiscono di una componente ambientale che ne espande il lessico e che si arricchisce di ulteriori sfumature grazie agli innesti di basso e lap steel  di Marcos Muniz e di contrabbasso di Alfonso Alcalà.

Scorrono veloci i quaranta minuti di “Perugia” col loro carico di ispirazione feconda e quel senso di freschezza e libertà che contraddistingue la musica che nasce dalla passione profonda.

Paolo Sanna Okra Percussion Project “Segni”

[Minimal Resource Manipulation]

Ampliare i propri orizzonti attraverso una costante sperimentazione di mezzi e tecniche, così come affidarsi al confronto con altri artisti a lui congeniali per trovare nuovi stimoli sono punti fermi dell’infaticabile percorso di ricerca di Paolo Sanna. Non sorprende quindi trovarlo in veste di ideatore di un progetto collettivo orientato per l’appunto all’esplorazione delle possibilità timbriche delle percussioni svolta affidandosi alla libera improvvisazione.

Il punto di partenza di questa nuova pubblicazione dell’Okra Percussion Project è lo studio condotto su un tamburo tradizionale cinese di 33 cm dal quale nasce una partitura grafica intesa a divenire canovaccio condiviso. In realtà “Segni” nasce quindi da un processo solo parzialmente libero, poiché i musicisti coinvolti sono stati invitati ad interpretare questa annotazione  – a dire il vero poco limitante – con laa raccomandazione di suonare in acustico, limitando le sovraincisioni ed includendo gli echi ambientali delle location di registrazione.

Ciò che prende forma è una sequenza di tracciati percussivi free-impro generati da una gestualità misurata, di scenari essenziali disegnati attraverso il ricorso ad una strumentazione minima fatta oggetto di tecniche estese. Stridori, risonanze metalliche, ribollii legnosi danno origine a scenari lowercase profondamente materici capaci di sfuggire totalmente alla sorgente tramutandosi nel fruscio del vento o nel battere della pioggia, assumendo le sembianze di mantra ipnotici e micro-universi  che dialogano in modo fitto col silenzio.

Una prova corale suggestiva condivisa con Matt Atkins, Quentin Conrate, Kevin Corcoran, Francesco Covarino, Giacomo Salis da assaporare affidandosi alla purezza dei sensi.

Alessandro Incorvaia   “It Emerged To Hold Me”

[Shimmering Moods Records]

Suono come appiglio, punto fermo a cui tornare per riemergere quando il buio appare assoluto. Nasce da un momento particolarmente delicato il primo itinerario solista di Alessandro Incorvaia risentendo delle sensazioni incombenti del frangente e cercando al tempo stesso di creare una breccia, una via di fuga verso il conforto di una luminosità ritrovata.

La materia di questo debutto parziale  – viste le collaborazioni all’attivo nel duo impro/free con Francesco Covarino ed il progetto Hornschaft cofirmato con Giordano Simoncini – è un ambient vaporosa in cui stratificazioni di synth si fondono a trame di chitarra e tastiere in un intreccio meditabondo pervaso da strisciante malinconia. A prevalere è un andamento placido, sinuosamente onirico, che non indulge a rimanere struttura inscalfibile aprendosi invece all’interpolazione con frequenze noise in un insieme che rimanda a certe atmosfere care a bvdub (“And now it holds me, completely”) o a venature del Fennesz più atmosferico (“Live them again and close them”).

Nessuna pulsazione scandisce lo sviluppo dei singoli tracciati ad esclusione di “From one side to the other, from one side to the other”, che con la sua chitarra sognante e una linea ritmica netta sposta per un istante le coordinate del lavoro verso orizzonti vagamente post-rock. Un percorso catartico in musica in cui ogni emozione viene accolta e lasciata libera di riverberare.

Giovanni Di Domenico “L’inutile”

[tsss tapes]

Non so da dove nasca il titolo scelto da Giovanni Di Domenico per il suo nuovo lavoro curato dalla tsss tapes di Francesco Covarino, ma posso dire con certezza che il suo contenuto è tutt’altro che inutile. Nessuna informazione, nessuna dichiarazione di intenti accompagna la pubblicazione, tutto è interamente affidato al suono. A saturare il nastro troviamo due dilatate tracce di identica durata di [quasi] solo piano, entrambe denominate secondo una complessa figura geometrica e probabilmente frutto di sessioni di improvvisazione guidate da un’idea chiara e prefissata, come già accadeva nell’ottimo “ISASOLO!”.

Ricerca armonica e sviluppo dinamico della trama sono i cardini attorno cui ruotano i due itinerari proposti, intricati percorsi pianistici interpolati da mirate intersezioni elettroniche ( “Tesseratto”) e da risonanze acustiche estratte da vari oggetti (“Politopo”). I due percorsi emergono gradualmente dal silenzio muovendosi tra fraseggi ostinati – il cui reiterarsi viene scandito da sfumature cangianti – e tracciati densi, privi di vuoti, che soprattutto in alcuni passaggi del lato A riportano alla mente il torrenziale flusso della continuous music ideata da Lubomyr Melnyk.

Sono traiettorie accidentate, da (in)seguire con estrema attenzione lasciandosi catturare dal vortice immaginifico di un suono inquieto e costantemente alla ricerca di un punto di fuga differente.

aa.vv. “Responses 2”

Un pulsante vortice di materiche risonanze. A poco più di sei mesi di distanza dal primo volume, Matt Atkins decide di dare un seguito all’esperimento collaborativo  che vedeva coinvolti una serie di artisti affini a cui chiedeva di creare un breve tragitto sonico a partire da un frammento da lui cesellato. Ponendosi come fine quello di raccogliere fondi per Medici Senza Frontiere, questo secondo volume reitera il concetto chiamando in causa ulteriori dodici musicisti stimati da Atkins, destinatari ciascuno di un nuovo, diverso ed inedito input.

Da tali premesse scaturisce un universo sonoro vibrante, al tempo stesso coeso e sfaccettato. Battiti, sfregamenti, echi ambientali  e frammenti ottenuti da una vasta pluralità di fonti si incastrano e sovrappongono dando origine ad un suggestivo magma di consistenza profondamente tattile che scorre seguendo imperterrito una traiettoria ostica ed accidentata.

Dal naturalistico scenario dipinto da Philip Sulidae in apertura alla teatrale oscurità delle frequenze di Alexandra Spence che chiudono il percorso, quel che si sussegue è un succedersi di evocativi paesaggi costruiti con peculiare tocco da sapienti alchimisti capaci di disegnare ruvide narrazioni dal sapore ancestrale (Paolo Sanna, Giacomo Salis, Francesco Covarino), indefinite visioni cariche di mistero (Moon RA, En Creux) ed oblique derive di modulazioni  irregolari (Graham Dunning).

Un interessante nuovo capitolo capace di ribadire il portato propositivo di una formula feconda e suggestiva.