meanwhile.in.texas “Heimat”

[secret press]

Ripercorrere i luoghi della propria vita, estrarne il soffio vitale e le sensazioni impresse nella memoria per farne condiviso canto emozionale. A poco più di un anno di distanza dalle sinestetiche istantanee di “Technicolor Dreams”, Angelo Guido modella una nuova immersione sensoriale scandita da risonanze scrupolosamente catturate lungo i bordi di un territorio familiare ed evocativo per divenire indelebili tracce di memoria.

Una malinconia indissolubile e l’incanto liquido di uno sguardo in bilico tra la veglia ed il sogno si sprigionano come tratto comune da queste nove derive ambientali, densi tracciati elettrici, guidati dalla riconoscibile chitarra del marchio meanwhile.in.texas, che accolgono ed inglobano tattili echi di una natura placidamente rarefatta. Che a prevalere sia l’aura nostalgica e contemplativa (“Endless Melancholy”, “Beautiful Decay”), un senso di obliquo straniamento (“Lost”) o l’incedere materico attraverso il paesaggio (“Sant’Andrea”), ciò che si diffonde da questi brevi, finemente granulosi frammenti è un portato immaginifico che rende percepibile un intenso legame viscerale abilmente tradotto in avvolgente suono.

Notturno ed ipnotico, “Heimat” ci conduce alla scoperta di un animo [in]quieto che costantemente scava alla scoperta delle proprie radici.

meanwhile.in.texas “Endless Decay”

[Sounds Against Humanity/Lonesome Studios]

Ruvide scie di memoria in lenta e costante disgregazione che scorrono lasciando una profonda traccia prima di dissolversi inesorabilmente. Ad un anno dal suo ultimo tracciato ad esclusiva firma meanwhile.in.texas, torna con un nuovo autonomo lavoro Angelo Guido, un evocativo percorso risonante fissato su nastro in collaborazione  da Sounds Against Humanity e Lonesome Studios.

Due dilatati flussi, scanditi dal susseguirsi privo di soluzione di continuità di differenti movimenti, strutturano le due facciate della cassetta proponendo un atmosferico viaggio sonico fatto di acidi vapori sintetici, frastagliati bordoni di chitarra e frammenti ambientali  sommati e stratificati a generare una densa materia narrativa in fluida mutazione.

È un andare granuloso, nervoso ed accidentato nella sua prima metà e gradualmente sempre più placido e luminoso, il cui sviluppo, pur non registrando alcuna perentoria scossa, è costantemente percepibile. Ne scaturisce una sinuosa deriva che ha la vivida ed evanescente consistenza del sogno lucido, ammaliante territorio in bilico tra realtà ed immaginazione.

Mulo Muto | meanwhile.in.texas | Skag Arcade “Endurance”

[EndTitles]

Aspro e minaccioso, impenetrabile come l’algido territorio che ne ispira la genesi, si sviluppa il suono  del granitico vortice scaturente dall’incrocio dei percorsi di Mulo Muto, meanwhile.in.texas e Skag Arcade, assonanza creativa che si tramuta in tracciati che si affiancano per divenire unitario incastro di voci.

Comune punto di partenza di questo sodalizio è la fascinazione per le pionieristiche spedizioni alla scoperta dell’antartico, epiche esplorazioni che hanno visto impavidi esseri umani a volte domare l’insidiosa natura, più spesso capitolare amaramente al suo cospetto. Vicende estreme ed immaginifiche, qui tradotte in tre roboanti flussi risonanti, uno affidato al duo elvetico formato da Joel Gilardini e Attila Folklor, uno alla ormai consolidata fusione tra i progetti di Angelo Guido e Paolo Colavita ed un terzo che li vede attivamente collaborare insieme.

Matrice comune dei diversi itinerari è la drammaticità dell’evento rievocato, espressa come espanso torrente sonico colmo di frequenze ruvide e a tratti dissonanti, modulazioni gelide e riverberi taglienti che sommandosi rendono tangibile l’ambiente ostile in cui tutto è accaduto. Plasmata da Mulo Muto come perentorio crescendo che dall’iniziale andamento misterioso ed ipnotico giunge al suo irruento culmine (“Tales of a lonely icebreaker dreaming of steam engines and enduring frost”) e da meanwhile.in.texas & skag arcade come altalenante flusso sensoriale in bilico tra nervosa stasi e deflagrante ascesa (“Dome Argus”), la traiettoria narrativa della Endurance trova la sua completezza e il suo sviluppo più dinamico e coinvolgente nell’omonimo capitolo corale che introietta le singole istanze fondendole in una visione univoca altamente evocativa.

Affascinante omaggio alla memoria di uomini indomiti.

meanwhile.in.texas “Technicolor Dreams”

[Purlieu Recordings]

Alla ricerca di immagini distanti nel tempo, radicate a fondo nella memoria. Ripercorre i luoghi della sua infanzia Angelo Guido, quegli angoli della sua Brindisi in cui permangono molteplici ricordi che adesso gradualmente riaffiorano tra le trame delle otto istantanee che compongono “Technicolor Dreams” generando una deriva sinestetica di visioni e umori corrispondenti.

Filtrate risonanze ambientali che ricostruiscono gli scorci catturati si combinano con evocative tessiture chitarristiche cristallizzandosi in proiezioni che trattengono una forte connotazione tattile malgrado il carattere evanescente delle armonie risultanti. È il suono degli elementi naturali e della materia a dare consistenza alla sinuosa fluidità di echi nostalgici che tendono ad espandersi seguendo libere traiettorie emozionali dipinte in modo istintivo dal musicista pugliese attraverso gli amati riverberi delle sue chitarre e degli effetti autocostruiti.

Una mappatura sensoriale avvolgente che alterna e sovrappone vaporose dilatazioni e ruvide scie in un  saturo susseguirsi di caleidoscopici frammenti che si nutrono del calore effimero del nastro magnetico su cui sono impressi.

meanwhile.in.texas “requiem. a journey to alpha centauri”

[mu versatile label]

meanwhile.in.texas - Requiem. A Journey to Alpha Centauri - cover.png

Proiettati verso le profondità insondabili di un viaggio cosmico immaginario. Ricorrendo ad una declinazione sempre più ampia del suo lessico sonoro in evoluzione, Angelo Guido conduce il suo meanwhile.in.texas verso la narrazione sensoriale  di un tracciato epico di pura fantasia.

A partire dall’attesa carica di tensione plasmata da elettriche frequenze crepitanti, il musicista brindisino disegna un’immaginifica traiettoria scandita dal susseguirsi di differenti scenari rappresentanti le varie fasi del viaggio. Profonde pulsazioni accompagnano l’ascesa riversandosi in dense saturazioni, inizialmente permeate da fugaci scie periferiche, fino a giungere ad attraversare fluttuazioni in crescendo marcatamente granulose, prologo di una conclusiva vaporosa deriva in un oceano di luce siderale che lentamente si spegne lasciando in balia di un’ultima visione totalizzante.

Un’escursione rapida, resa maggiormente agile da una modulazione in costante divenire che non lascia spazio a pause emozionali.

meanwhile.in.texas “the worlds we left behind”

[sounds against humanity]

meanwhile.in.texas - The Worlds We Left Behind.png

Sprofondando verso un oblio irraggiungibile mentre attorno gradualmente tutto si sgretola. È una misantropica traiettoria in sei atti il nuovo lavoro di Angelo Guido, abrasiva esplorazione sonora che conduce meanwhile.in.texas verso territori interamente dominati dal suono distorto e lancinante della fedele chitarra.

Senza un concreto punto di origine e privo di una reale meta da raggiungere, “The worlds we left behind” definisce un allucinato tracciato denso di tagliente inquietudine fatto di oblique visioni di un universo opprimente. Pulsanti frequenze cariche di alienanti riverberi si reiterano costruendo ascese di deflagrante alienazione che si dilatano in saturazioni roboanti lasciando solo brevi passaggi di oscura e parziale quiete. È un urlo munchiano indissolubile che si espande senza soluzione di continuità a mutuare la decadenza di una realtà sempre più distopica e respingente.

Un deserto in divenire da osservare con gli occhi sbarrati.

meanwhile.in.texas + rooms delayed “golden ruins”

[sonorous records]

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Densa, consequenziale, inesorabile. È una lunga scia che ripercorre la certezza del cerchio perfetto chiamato vita il frutto della prima collaborazione tra Angelo Guido (meanwhile.in.texas) e Vincenzo Nazzaro (Rooms Delayed), un tracciato crepitante che traduce in suono il portato emozionale di una navigazione sempre inedita e unica nelle sfumature eppure cadenzata da tappe imprescindibili e ricorrenti.

Fondendo i propri sguardi in un’unitaria visione condivisa, i due artisti disegnano un magmatico percorso fatto di nebbiose espansioni che si dilatano reiterandosi come respiro vitale e impenetrabili distese granulose tendenti all’assolutezza del rumore bianco modulate da ribollenti increspature e ruvide frequenze di intensità variabile. Dalla gravida e vaporosa tensione  dell’origine (“Ascension”), attraverso differenti stadi  che vanno dall’amniotico galleggiamento in persistenze tese e scabrose (“Fetus”, “Hope”, “Bleakness”) all’ipnotico incedere di ossessive maree stranianti (“Faith”, “Decay”), si giunge al gelido ed oscuro soffio dell’ultimo atto (“Descension”) che segna  la definitiva disgregazione sensoriale che conduce verso insondabili misteri.

Ciclicità immersiva.

skag arcade & meanwhile.in.texas “twentynine palms”

[luce sia]

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Immobili al cospetto di un vuoto assordante, in balia di un horror vacui tradotto in un lungo, lancinante urlo che annulla ogni silenzio. È un magma glaciale eppure crepitante a definire l’allucinata seconda tappa della possibile trilogia attraverso respingenti lande desertiche ideata da Paolo Colavita e Angelo Guido, viaggio immaginifico che esplora le profonde inquietudini dell’essere contemporaneo al cospetto di un mondo sempre più asettico contenitore segnato dalla devastazione.

L’approccio all’abrasiva materia  di questo territorio inospitale è cauto e lascia apparire i suoi tratti gradualmente anche se in modo perentorio. Dal crescente ribollio di indomabili frammenti organici scaturisce un soffio tagliente di fredde persistenze sintetiche dal sapore post atomico, che strutturano un granitico incedere dal quale emergono enigmatiche tracce radio  e stridenti alte frequenze (“Desert Heights”, “Inland Empire”, “Road Runner”) che intensificandosi si tramutano in impenetrabili tappeti di lisergico rumore (“Lost Horse Valley”, “Neon Dusk, Neon Dust”).

L’atmosfera plasmata risulta densamente cupa e apocalittica, accentuata da una ridotta modulazione del flusso che spesso si espande in viscose distese stagnanti amplificando il senso di profondo isolamento corroborato dalla efficace sequenza di immagini che accompagnano il lavoro.

Racconto duro e radicale tutt’altro che immediato, che ha nell’ostinata coesione il suo punto di forza e decreta un ulteriore raggiunto grado di sinergia ad unire Skag Arcade e meanwhile.in.texas.

Attendendo il capitolo finale

meanwhile.in.texas & banished pills “blank ritual”

[fuck labels//fuck mastering]

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Dense nebbie sciamaniche che si espandono a formare immagini imperscrutabili. Rapiti dal fascino di riti antichi, Angelo Guido ed Edoardo Cammisa combinano il loro estro alla ricerca di una concretizzazione sonora di evanescenti visioni legate alla mitologia del mondo azteco.

Le due tracce di questa breve incursione nel simbolico universo precolombiano si nutrono dei persistenti vapori lisergici di saturazioni asfissianti, che aleggiano ossessive generando possibili varchi verso proiezioni immaginifiche. Si fondono in coesa unità le oscure vibrazioni delle derive di meanwhile.in.texas e la liquida evanescenza delle risonanze di Banished Pills, dando vita a dilatate sequenze che intrecciano tensione e mistero in orizzontali fluttuazioni che soltanto in fondo a “Quetzalcoatl” si dischiudono verso un apice parzialmente deflagrante.

Riuscito tentativo di possibili collaborazioni future dal respiro più ampio.

 

meanwhile.in.texas “twin god fragments”

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Un universo carico di convulsa tensione costantemente sul punto di deflagare. Continua a muoversi attraverso paesaggi sonori abrasivi e oscuri Angelo Guido, che con questo nuovo lavoro firmato meanwhile.in.texas  e pubblicato da Orb Tapes idealmente prosegue sulla via tracciata dal precedente “Mirror Movements”.

Diviso in due lunghe tracce dal titolo enigmatico, il disco ci catapulta fin dalle prime battute di “Fog taught me everything I know” in una spirale ipnotica percorsa da una pressante elettricità che emerge tra le dense e granulose trame droniche conducendo alla caotica esplosione che domina la parte terminale di questo primo capitolo, una sorta di allucinato urlo che si irradia innarestabile. “Black walls will turn you around” ci proietta nuovamente in persistenze alienanti attraversate da folate siderali prive di luce e calore che si dipanano senza soluzione di continuità fino al finale sfumato che ancora una volta non crea una reale chiusura.

Dominato da un dio poco benevolo e generato dalla costante collisione di elementi ruvidi e taglienti, “Twin god fragments” ci immerge in un microcosmo totalizzante capace di far perdere il fiato.