Zerogroove   “Everyday”

[Kaczynski Editions]

Dieci istantanee di suono ruvido quanto cinematografico sanciscono l’esordio solista di Giuseppe Fantini sotto lo pseudonimo Zerogroove. Dopo le uscite in duo con Niet F-n – l’altro fondatore di quella fertile realtà che è Kaczynski – a firma Ranter’s Groove,  in trio nel progetto zero23 con l’ulteriore apporto di Macarena Montesinos e uno split condiviso con Alessandro Bocci, arriva un itinerario che propone in forma estesa la visione del musicista toscano imperniata su una straniante ibridazione tra punk ed elettronica.
Stooges e Kraftwerk sono i riferimenti accreditati, ma tra le pieghe delle trame proposte si rintracciano, tra le altre, suggestioni estratte dalla new wave più d’avanguardia  – su tutti i Suicide – e da certe formulazioni kraut. Sarebbe tuttavia errato approcciarsi al disco presupponendo di trovarsi di fronte ad un lavoro derivativo. L’idea di suono proposta da Fantini è quanto mai originale ed incline a definire un immaginario peculiare, attitudine che d’altronde investe ogni produzione curata dalla label.

L’avvio è di quelli brucianti, affidato all’improvviso deflagrare di elettricità stridente su cui si innesta il declamare secco di Any Pain, breccia che dischiude un ambiente vorticoso fatto di frammenti inquieti registrati live e privi di ulteriore produzione. Tutto è diretto, spigoloso, offerto senza futili mediazioni. La combinazione stessa di frequenze di chitarra e basso,  fraseggi di tastiera e linee ritmiche ricavate dalla drum machine, nella sua essenzialità, lascia spazio a vuoti significativi che rendono il suono più incisivo ed efficace nel suo portato narrativo. Il pulsare nitido di Walking with Pedro possiede l’evidenza  di una peregrinazione attraverso scenari urbani postmoderni, così come l’incedere ostinato di un basso obliquo definisce in negativo la linearità di un titolo quale A simple life.

Quello messo in scena è un ambiente incoerente, non incline alla definizione di traiettorie confortevoli, ma orientato alla costruzione di paesaggi sensoriali stimolanti. Ogni suono, ogni modulazione funge da input che costringe a [ri]focalizzare la percezione rimanendo ancorati ad un flusso lo-fi ipnotico. Un crudo film d’essai aurale.

Kaczynski Unexpected Quartet _ Ferrazza/Salis Duo “The Human Tape” – Gabriele Barbarino _ Raf Briganti “The Android Tape”

[Kaczynski Editions]

Suoni da un futuro dominato dalle macchine dove l’uomo è ridotto presenza residuale.
Ad oltre due anni di distanza dal secondo capitolo tornano le KACZYNSKI TAPE SESSIONS con una nuova doppia uscita – come sempre all’insegna di stimolanti incontri/scontri aurali – ispirata alla contrapposizione natura-artificio, dicotomia tradotta in traiettorie in cui acustico e sintetico si confrontano fondendosi in modo cangiante.

“The Human Tape” vede affiancati il Kaczynski Unexpected Quartet – compagine estemporanea formata da Lua Gandara, Macarena Montesinos, Niet F-n e Nacho Munoz – e il rodato duo Ferrazza/Salis in una proposta elettroacustica basata su itinerari sensoriali immersivi.
Il trittico composto dall’ensemble configura  un notturno obliquo tra retaggi jazz (“Acluofobia”) e (de)costruzioni avantgarde percorse da scie vocali prive di connotazione linguistica (“No country for young men”, “Outro”) proiettati in un paesaggio sinistro quanto essenziale. Gli fa eco l’universo materico disegnato da Marco Ferrazza e Giacomo Salis, la cui densa interpolazione percussivo-elettronica ne riprende e amplifica l’atmosfera inquieta in un percorso altalenante profondamente suggestivo.

Spetta a Gabriele Barbarino e Raf Briganti dare forma al dialogo sintetico di “The Android Tape” proponendo due approcci decisamente differenti ma dalle risultanze affini.
Il primo sceglie di tessere un’unica trama scandita da decisi cambi di rotta che portano scenari atmosferici a riversarsi in sequenze pulsanti dando vita ad un algoritmo ambient – idm convulso. Sicuramente più compatto è l’immaginario cosmico di Briganti che in quattro tappe sviluppa un viaggio siderale fatto di moti ascensionali ruvidi, echi techno-tribali e diluite distese di frequenze oscure in dissolvenza. Una duplice proposta di qualità che ancora una volta esalta visioni peculiari attraverso un contrasto nitido e propositivo.

aa.vv. “Pulsioni Oblique vol.2”

[Kaczynski editions]

Dopo oltre un anno di pausa giungono nuovi segnali dal pianeta Kaczynski. Accantonato il lungo silenzio, la piccola label indipendente nata nel 2018 decide di ripartire pubblicando un secondo volume intitolato “Pulsioni Oblique”. Così come il primo capitolo era dedicato a presentare i protagonisti di un’avventura pronta ad iniziare, questa nuova raccolta offre uno spaccato di ciò che accadrà nel prossimo futuro dell’etichetta tra conferme e nuove annessioni.

La mezz’ora di durata del nastro è quindi concepita come una raccolta di biglietti da visita di ciascun autore reclutato, una panoramica caleidoscopica fatta di anticipazioni e tracce ripescate. Ad emergere sono soprattutto i due tratti salienti legati all’attività della Kaczynski: l’attitudine per  la sperimentazione radicale e l’eterogeneità delle proposte. All’interno di tale target suona perfettamente coerente la successione di decostruzione vorticosa del Kaczynski Unexpected Quartet (Luà Gandarà, Niet F-n, Macarena Montesinos e Nacho Munoz) ed elettroacustica profondamente materica delle accoppiate Ferrazza/Salis e ranter’s bay/Paolo Sanna. All’ itinerario stridente del quartetto messicano Orasique fa eco la ludicità scarna di zerogroove, al frammento pulsante estratto dalla collaborazione tra Luca Sigurtà e Paul Beauchamp la nebbia jazzy del duo francese Qonicho-Ah!.

Siamo ancora una volta di fronte ad ottime premesse che siamo certi non saranno disattese. E di nuovo restiamo in ascolto.

Ranter’s bay & Pablo Orza “Ἑιμαρμενη”

[Kaczynski Editions]

L’inevitabilità dell’istante che si compie, cristallizzato in miniature risonanti che ne accolgono armonie e dissonanze parzialmente svincolate dall’intenzione. Affidano alla libera improvvisazione e agli accidenti del caso la propria volontà compositiva l’alchimista elettronico Niet F-n, qui sotto le sembianze di Ranter’s bay, e il libero tessitore di trame chitarristiche Pablo Orza, uniti dal comune intento di assorbire le variabili dell’attimo quale elemento propositivo da far convergere nel condiviso flusso di pensieri.

Convulsi assemblaggi di suoni provenienti dalle fonti più varie strutturano una impervia traiettoria elettro acustica divisa in sette omonimi atti, che si snoda tra sussurrati ribollimenti pervasi da echi ambientali, irregolari flussi scanditi da essenziali  riverberi, sature distese di inquiete frequenze e vorticose sommatorie di ruvide modulazioni in deflagrante progressione.

Ne scaturisce un indefinito tracciato narrativo dalla consistenza profondamente materica, un imprevedibile susseguirsi di visioni in costante evoluzione che introiettano l’aleatorio quale valore aggiunto. Un’esplorazione atimolante e priva di passaggi a vuoto, dedicata a navigatori sonici attenti ed impavidi.

zero23 “songs from the eternal dump”

[kaczynski editions]

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Scorie risonanti che si addensano originando un fremente microcosmo in cui ogni frammento trova una sua esatta ed inattesa collocazione. È una discarica che attraverso l’ausilio di un’ottica differente si trasforma  in fonte primaria da cui attingere nuova linfa quella da cui estrapola il suono zero23, poliedrico progetto che vede insieme Giuseppe Fantini, Niet F-n e Macarena Montesinos.

Ricercando costantemente un equilibrio tra le parti che dia il giusto peso ad ogni componente in ballo, il trio costruisce otto ribollenti tracciati elettroacustici determinati dall’accostamento  di nervosi fraseggi chitarristici ed oblique elegie di violoncello ad irregolari e spesso ruvide frequenze sintetiche e flebili echi ambientali. Da tale combinazione sgorgano pacati flussi in ammaliante espansione assecondata da efficaci tempi di riverbero che ne lasciano risaltare ogni singolo dettaglio, minuti vortici ricchi di percettibili sfumature che disegnano un universo seducentemente straniante.

Con inattesa consequenzialità si passa così da contemplative derive vagamente cosmiche (“empty little space”), a pulsanti danze rumoristiche (“false step”), da acidi blues minimali (“dead rats blues”) a convulse spirali di flebili distorsioni (“macchinari avariati”), sfaccettate  visioni proiettate verso un immaginario al tempo stesso vivido e sfuggente.