
Composite, stratificate, tendenti alla decostruzione. Le architetture di luce erette da Bill Seaman e Stephen Spera per dare forma al loro primo album collaborativo possono così condensarsi, quali oggetti sonori sfaccettati e meticolosamente dettagliati prodotti a partire da una peculiare visione ampliata attraverso un lungo dialogo a distanza.
Il gusto per la costruzione di ambienti vividi generati dal succedersi e parziale sovrapporsi di micro suoni, risonanze ambientali e stille elettroacustiche afferente in modo particolare alla pratica compositiva del musicista del North Carolina si incastra alla perfezione alle evanescenti derive hauntologiche dell’artista newyorkese fondendosi in un unicum ricco ed atmosferico. L’ambiente d’ascolto è seducente e profondamente immersivo, generato da trame che si sviluppano placidamente secondo traiettorie libere, a tratti tortuose e dissonanti (“Voix De Lumiere”, “Progressions”). Sono suggestioni ipnagogiche che trovano ulteriore colore in modulazioni vocali eteree – Tamalyn Miller nel notturno “Rooms Reflect” – o canti ripescati dal passato – una registrazione di Miriam Moseki risalente a venti anni fa in “Tswana” – e che vengono occasionalmente scanditi da fraseggi pianistici (“Dusk Till Dawn”).
Tutto risuona misterioso, invita ad entrare nella dimensione aurale con attenzione per trovare connessioni e assonanze riconducibili al graduale lavoro di affinamento operato dai due musicisti atto a suggerire itinerari possibili a cui abbandonarsi totalmente.