the weather station – what am i going to do with everything i know

Esistono cose a cui non si può sfuggire.

Le sfiori, a volte le dimentichi o semplicemente non gli dai la giusta importanza. Quando meno te l’aspetti ricompaiono seguendo strade differenti e ti ritrovi conquistato senza riuscire a spiegarti perché te le fossi fatte sfuggire. Mi succede ritornando in un luogo, rivedendo un film e mi succede con i dischi.

Con What Am I Going To Do Whit Everything I Know di The Weather Station, per esempio.

Dietro questo pseudonimo troviamo la bella e talentuosa Tamara Lindeman, attrice oltre che songwriter, proveniente dal Canada (un luogo a caso…) che a dispetto di una notorietà ancora limitata vanta molte collaborazioni musicali tra cui citiamo quella con Will Stratton in Gray Lodge Wisdom (un disco a caso…).

What Am I Going To Do Whit Everything I know è un una breve storia in sei capitoli, narrata con tono intimo, a volte quasi sussurrata. La sensazione che si ha ascoltando il disco è quella di leggere un diario, lasciato appositamente aperto dall’autrice, caratterizzato da una grande uniformità di atmosfera.

Tutto è incentrato sulla voce narrante della Lindeman, avvolta da melodie morbide, con il suono della chitarra che funge da elemento dominante e arrangiamenti soffusi a dare completezza al tutto in modo discreto. È un folk delicato, che dimostra la grande capacità dell’autrice di scrivere canzoni (su tutte svetta Soft Spoken Man).

Scorre via rapidamente questo breve lavoro e come nei migliori racconti non si chiude con un vero finale, ma ci lascia in sospeso e con la voglia di aspettare nuovi racconti.

Anche questa volta il fato ha avuto ragione e per fortuna mi ha impedito di perdere una piccola gemma.

(per TRISTE© – 10 novembre 2014)

sam reynolds “3”

“In futuro tutti saranno famosi per 15 minuti”. Sembrerebbe che questo futuro profetizzato da Warhol nel lontano ’68 sia arrivato. Ti guardi in giro e in ogni campo (soprattutto negli ambiti creativi) ti imbatti in persone che hanno vissuto il proprio quarto d’ora di gloria, momento di cui amano parlare e vantarsi, autoproclamandosi esponenti di spicco di qualcosa. Tutti a caccia di gloria.

Poi per fortuna esistono le eccezioni, le persone che amano l’ombra, ma che sanno creare emozioni.

Sam Reynolds è una sorta di musicista fantasma. Vive a New York, non ha ancora trent’anni. Mi sono imbattuto nella sua musica qualche anno fa, per caso, ed è stato amore al primo ascolto.

Ci ha da poco regalato (nel vero senso del termine visto che i suoi dischi sono in free download su bandcamp) il suo terzo disco intitolato semplicemente “3”.

Come i lavori precedenti anche questo è una raccolta di canzoni dal sapore confidenziale, in cui la dolcezza delle melodie viene meravigliosamente completata dalla raffinata voce di Reynolds (ad eccezione della strumentale edelweiss).

Più volte torna alla memoria Elliott Smith ascoltando le armonie  tracciate dalla chitarra acustica, suoni intrisi di lieve malinconia. Il cantato è sempre dolce, sussurrato, i brani assumono la forma di brevi confessioni consegnate al tramonto.

È un disco da godere con calma, in solitudine. Scorre via lasciando una scia di emozioni e la voglia di riascoltarlo subito, vi innamorerete di brani come this is just to say e you don’t say.

Il viaggio si chiude con una domanda, what am i going to do?
Noi la risposta ce l’abbiamo: continua a scrivere canzoni, Sam!

Per fortuna esistono le eccezioni.

(per TRISTE© – 19 dicembre 2014)

distance, light & sky “casting nets”

La matematica non è un opinione, ma non sempre la sua trasposizione nel mondo reale funziona. Mettere insieme tante singole eccellenze non porta necessariamente ad un risultato ottimo. Penso a tante squadre di calcio di oggi costruite a tavolino per essere travolgenti e che poi ottengono poco, penso a  film pieni di attori di fama indiscussa che risultano poi pellicole mediocri.

In musica il concetto addirittura si espande, viste le innumerevoli collaborazioni tra artisti che in alcuni casi arrivano da esperienze diversissime. Nel corso del tempo abbiamo assistito alla nascita di dischi epocali, ma anche di “unioni” dai risultati quantomeno discutibili. Casting Nets di Distance, Light And Sky  appartiene ai casi in cui l’incontro si rivela molto proficuo.

A dare vita a questo progetto troviamo tre personalità molto differenti (Chris Eckman,Chantal Acda e Eric Thielemans) che portano con loro i rispettivi paesaggi sonori riuscendo nell’ardua impresa di fondere il tutto con estremo equilibrio.

È questo uno dei tratti distintivi del disco: mentre lo ascolti senti alternarsi le tre anime del gruppo, ognuna delle quali emerge senza mai sovrastare le altre, muovendosi con attenzione nel particolare universo condiviso.

Si passa dai suoni di chiara derivazione folk (Cold Summer Wood, Distance, Light & Sky) sottolineati dalla voce profonda di Eckman ad atmosfere più intime, più sussurrate, nelle quali sale in cattedra la grande capacità inerpretativa di Chantal Acda (Son, 50’s Song). Elemento costante è il gran lavoro delle percussioni di Thielemans, perfetto collante sia quando resta soffuso, sia quando si sposta in primo piano (You Were Done).

Un disco elegante, un viaggio che alterna atmosfere differenti in modo sapiente e che trova il suo apice in This place.

La matematica a volte può essere un opinione, soprattutto quando 1+1+1 fa molto più di 3.

(per TRISTE© – 4 dicembre 2014)

bored nothing “some songs”

Oggi mi sono svegliato con stampato sul viso un sorriso nostalgico. Non esiste un perché. Accade e basta. Mi alzo e ho questa sensazione addosso che mi accompagna tutto il giorno. Ripenso alle cose belle del passato, sia recente che remoto (ma non troppo, non sono un dinosauro). Mi ritorna la voce di mio nonno, le discussioni infinite con gli amici, l’odore della torrefazione vicino la sede dell’università.

In giorni cosi ho solo due possibili scelte musicali: qualcosa che arrivi dagli adorati anni ’90 o qualcosa che ne serbi forte il ricordo. Oggi ho scelto Some Songs di Bored Nothing.

Sotto questo pseudonimo troviamo un giovane (seriamente giovane) australiano, Fergus Miller, che si è fatto conoscere e notare col suo omonimo disco d’esordio del 2012, una raccolta di canzoni fatte in casa all’insegna dello spirito lo-fi e con, appunto, tanti richiami alla musica dei ‘90.

Questi due aspetti peculiari, bassa fedeltà e il riverbero di quegli anni musicalmente fertili, ritornano anche in questo suo secondo lavoro.

Si parte un po’ in sordina con Not, si passa dall’andamento molto bored di Ice-cream dreams e il disco decolla, tra narrazioni all’insegna di un indie pop sghembo (We Lied,Artificial Flower, Do You Want Always) e richiami all’amore del nostro per i pionieri dello shoegaze (Come Back To). Nel mezzo c’è modo di imbattersi anche in una piccola breve gemma dal suono intimo: Ultra-lites.

Un disco che traccia una continuità di suono con il self-titled debut, Bored Nothing, e che al tempo stesso rappresenta un’evoluzione di quel punto di partenza. È un lavoro non più creato in una stanzetta ma in una sala d’incisione, con una maggiore cura dei suoni e degli arrangiamenti. Un passo in avanti, insomma, per un artista da non perdere d’occhio.

Non si esce vivi dagli anni ’90, in compenso resta in eredità un gran bel sorriso.

(per TRISTE© – 24 novembre 2014)

french for rabbits “spirits”

A chi non è mai capitato di sognare ad occhi aperti?

Mi succede spesso, all’improvviso, intento a fare una cosa qualsiasi. Mi estraneo e tutto si ferma. L’unica cosa che conta è seguire il sogno, perdersi al suo interno. Puoi ritrovarti ovunque, nella fredda Islanda, nel paese in cui sei nato o addirittura dall’altra parte del mondo, un luogo come la Nuova Zelanda.

Ed è da qui che arriva il disco di cui vi vogliamo parlare, prima prova sulla lunga distanza dei French For Rabbits, band costruitasi attorno alle figure di Brooke Singer e John Fitzgerald.

La sensazione che si prova ascoltando Spirits è esattamente questa. Appena partono le note della iniziale title track il mondo attorno si ferma. I brani si susseguono riuscendo a non interrompere mai il flusso onirico, anche quando alle narrazioni più eteree (ColdGoat,Nursery Rhymes) si alternano melodie più brillanti (LeanGone Gone Gone).

Perfetta è la definizione di dream pop accostata alla musica della band che aveva già presentato tutti gli elementi del suo mondo sonoro nel bellissimo ep di esordio (Claimed by the sea), elementi che trovano una costante nella delicata vocalità di Brooke Singer che contribuisce a creare le atmosfere piacevolmente malinconiche che caratterizzano tutto il lavoro.

E’ un viaggio nel quale perdersi, con momenti di grande bellezza (ColdThe Other Side).  Il disco si chiude con Seafarer che scivola via lentamente e ti accompagna verso il ritorno alla realtà.

E come nei migliori sogni ad occhi aperti ti ritrovi per un attimo spaesato, non ricordi esattamente cosa sia successo, ma la sensazione che ti pervade è decisamente piacevole.

(per TRISTE© – 29 ottobre 2014)