raffaele grimaldi “an image of eternity”

[blue spiral records]

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Sono confessioni a cuore aperto, moti interiori tradotti in melodia attraverso un intenso dialogo con il pianoforte. Racconta se stesso Raffaele Grimaldi in “An image of eternity”, senza filtri e sovrastrutture, scegliendo un linguaggio immediato e denso di passione.

Sono composizioni raccolte nel corso degli anni e lasciate a decantare  in silenzio quelle che costruiscono questo personale diario, un viaggio pieno di delicata enfasi nel quale il raffinato pianismo del musicista campano si muove con scioltezza attraverso atmosfere differenti lasciando emergere i vari moti che lo animano. Contemplative trame sognanti (“An image of eternity”, “The world I breath”) si alternano a leggere fughe costruite con intrecci di note danzanti (“Endless line”, “Traces of sunlight”), virando a tratti verso paesaggi intrisi di dolce malinconia (“Dans l’horizon”, “In me”, “Nuvola fragile”) o di fragile romanticismo (“ Love signs”, “Come aria”). Costante rimane un senso di partecipazione emotiva che accompagna l’ascolto e che raggiunge l’apice quando le tessiture diventano torrenziali generando flussi inarrestabili che vagamente rimandano al concetto di continuous music di Melnyk (“An ocean beyond your secrets”, “Vertigo”).

È un percorso lungo e ricco di sfumature, da assaporare nella sua interezza riemergendone lentamente soltanto dopo il riverbero degli ultimi rallentati tocchi della conclusiva “The last station”.

ruhe + lee chapman “studies : rothko”

[Unknown Tone Records]

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Nasce da una serie di fortuite coincidenze la collaborazione a distanza tra Bryan Ruhe e Lee Chapman. I due amici/artisti dopo aver scoperto di essere stati entrambi folgorati ed ispirati in momenti diversi dalle opere di Mark Rothko hanno deciso di riunire i rispettivi risultati scaturenti da tale incontro in una pubblicazione condivisa arricchita da un’ulteriore traccia a quattro mani.

Stratificazioni materiche percorse da fremiti granulosi in filigrana descrivono l’impatto che “Light Red Over Black, 1957” ha avuto sull’immaginario di Lee Chapman. Tessiture dense di frequenze riverberanti tracciano una vivida narrazione dai toni accesi che gradualmente si riversa in un’ipnotica stasi in costante espansione in lenta dissoluzione.

Lungo una direttrice più sinuosa, ma sempre venata da grana fine, si muove “Untitled, 1969”. Il flusso generato da Ruhe si dipana all’insegna di un’aura sognante e contemplativa modulata da variazioni essenziali che ne scandiscono l’incedere senza generare turbolenze.

La componente onirica e dilatata torna in modo preponderante anche nella conclusiva e condivisa “seagram mural sketch, 1959”, che con la sua vaporosa e romantica deriva conduce alla chiusura di un vibrante viaggio pieno di fascino.

giovanni di giandomenico “ambienti”

[almendra music]

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Paesaggi della memoria, spazi trasfigurati dalla labilità del ricordo. Non ricostruire la fisicità dei luoghi, ma trasporre in suono le sensazioni ad essi legate è l’esigenza che muove la scrittura di Giovanni Di Giandomenico concretizzatasi nel suo nuovo album pubblicato da Almendra music.

“Ambienti”  è un fluido racconto di esperienze vissute in punti geografici distanti, un diario di emozioni sedimentate che il giovane musicista palermitano declina attraverso una sapiente miscela di tessiture pianistiche, elaborazioni e modulazioni sintetiche. La narrazione procede su toni sussurrati, essenziali fraseggi  liberi di riverberare su fondali flebili generando vivide sequenze  cinematiche dal sapore onirico (“ambiente 0”, “ambiente 4”, “ambiente 5”), che a tratti si dilatano in trame più profonde dall’incedere irregolare cariche di maggiore enfasi (“ambiente notturno 1”, “ambiente notturno 2”, “ambiente notturno 3”). Si snoda con grande coesione e uniformità d’atmosfera il lavoro, anche quando il linguaggio di Giandomenico trova soluzioni che virano verso un maggiore dinamismo e una più accentuata tensione (“ambiente 1”) o riecheggiano pienamente i forti contrasti tra luci e ombre della sua terra (“siciliana”), fino ad approdare ad algide frequenze elettroniche nella cui inquieta oscurità le note del piano diventano rarefatte gocce di pioggia (“ambiente 3”).

È un disco tutto da scoprire, da riassaporare con rinnovata attenzione ad ogni ascolto alla ricerca di nuovi dettagli e sfumature che continuamente ne accrescono la ricchezza cromatica.

silentwave “daiyuzan”

[gterma]

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Un’eterea ed introspettiva fuga che conduce lontano dal frastuono e dalla frenesia del mondo postmoderno. Ispirato dall’affascinante complesso templare da cui mutua il titolo, il nuovo lavoro di Yoshinori Noguchi  sotto l’abituale pseudonimo silentwave è un vaporoso e meditativo percorso diviso in tre lunghi atti.

Una persistente sensazione di quiete accompagna il dipanarsi delle luminose modulazioni che fluiscono morbide in sequenze che restituiscono la meraviglia e il profondo isolamento che questo luogo distante da tutto ispira. Un’intimità spirituale che mutua quella geografica attraverso lo scorrere delle tessiture sonore che placidamente declinano atmosfere a tratti più misteriose e umbratili (“asagiri”, “dry landscape garden”) altre più risonanti e lucenti (“Daiyuzan”).

È un viaggio alla ricerca di una quiete interiore che solo un luogo denso di sacralità può restituire.

ian hawgood “love retained”

[Home Normal]

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Un addio o forse solo un arrivederci. Scaturiscono dai recessi più intimi dell’anima i bozzetti che compongono il primo (e anche ultimo, per quanto dichiarato dello stesso artista) disco solista di Ian Hawgood per la Home Normal, etichetta discografica di cui è fondatore e della quale non farà più parte da qui in avanti in ragione di personali motivazioni espresse nelle note che accompagnano la pubblicazione.

Hanno origine da una sensibilità profonda, causa di un costante senso di precarietà emotiva, le dieci tracce, veri e propri schizzi pianistici composti per essere destinati ad una potenziale  collaborazione e che adesso vengono pubblicati come lavoro autonomo volutamente nella loro forma scarna ed incompleta. Scorci impressionistici modellati attraverso malinconici frammenti melodici che nella loro ricorrente struttura circolare fluiscono come cullanti nenie intrise di profonda nostalgia (“She”, “Komaya (For Lee, Danny, and Clem)”, “Sugamo”) che a tratti giungono ad essenziali momenti di rarefazione quasi assoluta (“Morskie Oko”, “Waves, Again”) o a progressioni incalzanti all’insegna di un maggiore pathos (“Islands”).

Non è semplice trovare le parole giuste per raccontare “Love retained”, certamente la scelta migliore è affidarsi alle parole di Ian e predisporsi ad un ascolto a cuore aperto.

bvdub “yours are stories of sadness”

[sound in silence]

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Un istante di vita che continua a riaffiorare generando ogni volta sensazioni differenti che diventano punto di partenza per brevi derive della mente. Ha origine da un insolito frammento vissuto questo nuovo lavoro di Brock Van Wey, pubblicato come sempre sotto l’abituale alias bvdub.

Un disco che si muove su coordinate più espanse e nostalgiche rispetto alle numerose produzioni del musicista americano, quasi totalmente privo di quella componente ritmica marcata che struttura le lunghe abituali suite da lui modellate. Le diciannove tracce, semplicemente numerate e prive di qualsivoglia titolo che possa influenzare il modo di recepirle, sono brevi istantanee fatte di calde e avvolgenti modulazioni che costruiscono intimi e malinconici paesaggi emozionali, rapide fughe in un universo in bilico tra realtà e immaginazione.

Traspare costante lungo i quasi ottanta minuti di “Yours are stories of sadness”  un totale trasporto e una profonda ispirazione che hanno guidato Van Wey verso la realizzazione di uno dei suoi dischi più intensi e affascinanti.

 

arsari “scavare”

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Un turbine in cui si susseguono una moltitudine di istanze e rimandi provenienti da estrazioni e tempi differenti, è una spirale multiforme e in costante mutazione quella definita dall’esordio autoprodotto del progetto jesino Arsari.

Le tre tracce di “Scavare” generano flussi irregolari modellati riversando elementi estrapolati da un bagaglio di ascolto ampio e diversificato, che riescono a trovare un nervoso e incostante equilibrio che infonde un senso di costante sorpresa e precarietà. Così universi dronici fatti di luce intensa e grana fine improvvisamente si riversano in scorci melodici segnati da pulsazioni marcate ed incalzanti(“Semi Di Chia”), che diventano linea strutturale su cui si avvolgono ruvide frequenze e circolari tessiture armoniche (“Palato”). Decisamente più coesa ed uniforme è la granitica e palpitante “E Il Fuoco Si Rifiuta”, che chiude questo interessante lavoro di debutto aprendo un significativo varco verso possibili soluzioni da indagare e approfondire in future tappe di un percorso solo al suo inizio.

thet liturgiske owäsendet “catilina”

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Un flusso caldo e avvolgente che diffondendosi invade ogni recesso conducendo verso uno stato di liquida sospensione. Il punto di partenza scelto dalla londinese Lobster Theremin per lanciare il suo progetto  Lobster Sleep Sequence dichiara in modo inequivocabile la vocazione notturna e sognante che lo contraddistingue e lo fa attraverso una lunga suite firmata dall’enigmatico duo svedese Thet Liturgiske Owäsendet.

“Catalina” è una lunga ipnotica deriva (divisa in due parti nella sua edizione fisica su vinile) che induce ad una totalizzante immersione in una dimensione vaporosa scandita da flebili palpitazioni dall’incedere circolare. Un denso tappeto dronico scorre come un compatto cielo stellato in quasi impercettibile mutazione, un’apparente stasi capace di annullare ogni fremito esterno. Dalle tessiture profonde e stagnanti emana un magnetismo a cui risulta impossibile sfuggire, anche quando occasionalmente tra le dilatate trame si incastrano frequenze estranee e stridenti che si spengono rapidamente e diventano più acute ed intense soltanto nel finale.

Esiste un unico modo per affrontare questo lavoro: abbandonarsi senza opporre resistenza.

maurizio abate & matteo uggeri “beyond time”

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Un universo confortevole dominato da sensazioni semplici ma profonde, rivissuto attraverso una successione di ricordi vividi permeati da un costante senso di nostalgia. È un viaggio in un passato non troppo distante nel tempo, tanto da poterlo sentire nostro, quello modellato da Maurizio Abate e Matteo Uggeri attraverso i nove capitoli che compongono “Beyond time”.

Si incastrano alla perfezioni le ricche trame elaborate alla chitarra da Abate sui fondali vaporosi in lieve e costante espansione disegnate con attenta misura da Uggeri, simbiosi che trova completamento in ricorrenti innesti di field recordings (in parte curati da Stefano De Ponti), inserti vocali e ulteriori contributi di viola e violoncello. È un flusso senza soluzione di continuità che attraversa istanti differenti scanditi da melodie sognanti (“Part I (time)”, “Part III (slow)”) che a tratti si sviluppano in modo più teso ed impetuoso (“Part II (east)”, “Part VIII (west)”) o più espanso e crepuscolare (“Part IV (ship)”) e che sanno cedere il passo nei frangenti più narrativi dominati dalla voce e da modulazioni concrete e granulose (“Part V (grandma)”, “Part VI (mud)”, “Part VII (breath)”), fino a giungere alle luminose e rarefatte tessiture di “Part IX (beyond time)” che chiudono questa affascinante e malinconica peregrinazione elettro acustica capace di suggerire una nuova possibile declinazione ad un suono che frettolosamente ed erroneamente potrebbe definirsi folk.

dino spiluttini “christmas drone for the sad and lonesome”

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Sospeso e ovattato, attraversato da increspature lievi e a tratti quasi impercettibili come un paesaggio intrappolato nel ghiaccio che conserva la sua vitalità sotto l’impenetrabile e spesso strato esterno. La lunga traccia del nuovo lavoro di Dino Spiluttini, divisa in due parti e pubblicata su nastro da Tavern Eightieth, è una lunga meditazione dronica dedicata a chi il Natale lo vive in solitudine.

Frequenze persistenti all’insegna di una densità calda e vaporosa si snodano lungo gli oltre cinquanta minuti del disco producendo un senso di ipnotico straniamento capace di interrompere qualsiasi flusso temporale e definendo un momentaneo accesso verso una dimensione solitaria dalla quale osservare uno dei periodi più frenetici dell’anno. È una coperta calda e avvolgente quella che l’artista austriaco offre, un conforto parziale alla malinconia derivante da una solitudine che diviene ancor meno sopportabile in questo periodo dell’anno.