aa.vv. “the minimal piano series vol. I”

[blue spiral records]

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Attraverso gli ampi margini di una feconda esplorazione del sempre più frequentato universo sonoro che ruota attorno al suono del pianoforte. Risultato di un contest lanciato dalla Blue Spiral Records, “The Minimal Piano Series Vol. I” raccoglie quattordici tracce, scelte tra le numerose proposte ricevute, che indagano possibili direzioni da percorrere utilizzando i principi della composizione minimale.

Ne nasce un caleidoscopico viaggio fatto di colori accesi ma anche di intensi chiaroscuri e di una variegata gamma di sfumature che mutuano le atmosfere dalle differenti provenienze geografiche e dalla diversa formazioni degli autori coinvolti. Si passa così con morbida leggerezza da sprazzi di coralità espressa attraverso raffinati afflati orchestrali (Peter Michael von der Nahmer “Mashrabiya”) o convulsi intrecci dalle sfumature jazzy (Robert Fruehwald “Kebyar!”) ad un’irruente essenzialità fortemente viscerale (Dario Crisman “Winter’s secrets”, Fabio Cuomo “Leaf”), dal cinematismo di trame umorali in costante mutamento (Gian Marco La Serra & Emanuele Dentoni  “Ascoltarsi”, Simone Pionieri “I quattro elementi”) ad un’introspettiva emozionalità declinata con fragile eleganza (Sten Erland Hermundstad “The unknown song”, Ashot Danielyan “Beyond Northwind”). Intriso di un marcato classicismo che emerge da solitarie fughe dense di lirismo (Paolo Morese “Al calar della sera”, Muriël Bostdorp “Colours of rain”, Sin Young Park “Du-Dream Prelude no.3”) o da ipnotiche ridondanze melodiche (Jeroen Elfferich “Fine”), il tracciato costruito non manca di proporre sguardi altri formalizzati in luminose ibridazioni elettroniche (Salvatore Casillo  “Phantom cycle”) o in ostinati andamenti dall’incedere obliquo (Flavio Cuccurullo “Bishop of lights”).

Un progetto interessante che punta l’attenzione sulla brillante vitalità di artisti in fecondo divenire.

neraterrae “the NHART demo[n]s”

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Un universo sotterraneo impenetrabile alla luce in cui si aggirano sinistre ombre come riflessi di un incubo senza fine. Si rivolge al proprio passato Alessio Antoni per definire l’inizio di un nuovo corso, ripescando le tracce lasciate nel 2009 a firma NHART.

Cupe fluttuazioni, frequenze profondamente scabrose e oblique persistenze si combinano generando sulfurei effluvi che si espandono a definire postmoderni paesaggi alienati nei quali immergersi in balia di ribollenti vapori asfissianti (“End”) o algide tormente ossessive (“The gift of blindness”), che a tratti rimangono fugaci schegge indefinite (“Core”, “Night visit”, “Deeper down”).

Una narrazione frammentaria dalle atmosfere coese che trova il suo apice nel dittico anonimo in cui parzialmente l’oscurità si stempera lasciandosi permeare da inattese trame melodiche.

luca longobardi “plume”

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Seduti su una nuvola spinta da un vento dolce alla ricerca di una nuova prospettiva da cui osservare il mondo. La musica sa essere antitodo, può definire ripartenze ed essere un accogliente rifugio nel quale lasciare fluire leggeri anche i pensieri più ingombranti, ed il suo Luca Longobardi lo ha costruito lentamente e con cura.

“Plume” è un ambiente ideale fatto di calda luce abbagliante e malinconica penombra in cui vaporose visioni sognanti si alternano a impetuose fughe dall’incedere serrato disegnando un universo costantemente in bilico ma sempre in perfetto equilibrio. È il pianoforte ad indicare la via, ma a completarne gli avvolgenti tracciati interviene l’ausilio di sonorità analogiche che combinate ai rumori ambientali dello strumento ne espandono ed innalzano il portato emozionale che si mantiene profondamente inalterato lungo la sequenza di palpitanti danze melodiche che scolpiscono paesaggi impetuosi (“Eleven lives”, “Paralleli”) e placide derive di infinito lirismo (“Lullaby #19 (a song for Jpg)”, “Quel che resta della notte”).

In appendice, le rimodulazioni di tre tracce ampliano ulteriormente le coordinate di un lavoro intensamente ispirato, preziosa raccolta di attimi di cristallina bellezza.

mothell “enjoying storms since the ‘80s”

[sounds against humanity]

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Un evanescente itinerario attraverso ambienti immaginari configurati per accogliere sensazioni che giungono dal passato. È una tremula fluttuazione onirica quella disegnata da Andrea Ragusa e Marco Monti per il lavoro di debutto del loro progetto Mothell, una narrazione cinematica fatta di rarefatte combinazioni di particelle in cerca di un appiglio alla realtà.

Fumose modulazioni analogiche pervase da un costante lisergico stupore si rivelano gradualmente senza mai divenire visione dai tratti compiutamente delineati, rimanendo sfrangiata immagine di un tracciato interiore che si muove tra malinconici paesaggi immersi in una surreale luce abbagliante, ossessive frequenze finemente granulose ed immateriali sospensioni irradianti quiete assoluta.  È un universo in cui tutto appare tangibile senza mai assumere un’ingombrante matericità, un nostalgico sogno ad occhi aperti che lascia riaffiorare emozioni mai assopite.

In fuga per ritrovare qualcosa ancora non troppo distante nel tempo.

the illusion of silence “the white summer”

[thirsty leaves music]

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Evanescenti fiabe che giungono dal cristallino freddo dell’estremo nord. Continua a rivolgere il proprio sguardo verso territori sempre più algidi Luca Bonandini, facendo virare le coordinate di The Illusion Of Silence verso trame sempre più rarefatte ed essenziali.

Sono dodici sinuosi bozzetti che risuonano come fragili danze di luminose stille acustiche a comporre questo tracciato narrativo che, pur conservandone il tono introspettivo, si discosta dalle atmosfere folk velate di persistente cupezza del precedente “Black Rainbow” per plasmare un etereo e solitario viaggio che accoglie il solo contributo della viola di Anna Dushkina, a cui è altresì affidata la comparsa delle rare e flebili tracce vocali che emergono come ulteriore scia armonica tra gli intrecci strumentali.

È un flusso che suona placidamente ovattato, ammantato da uno spesso strato di soffice neve, sia quando scorre come malinconica sequenza di delicate risonanze (“Memories of the wind”, “A mirror, an ocean”, “Lights from a nothern town”) che quando diviene dilatata persistenza vagamente spettrale (“Frost”, “The white summer”).

Un viaggio quieto attraverso incantevoli scorci di riverberante fascino.

artcore machine “I A – II A – III A”

[xonar]

Una convulsa e caleidoscopica deriva postmoderna divisa in sei lunghi paragrafi accoppiati a costituire tre differenti capitoli. Complessa e ambiziosa è la navigazione proposta da Moreno Padoan  e Roberto Beltrame attraverso le pirotecniche trame del nuovo lavoro firmato Artcore Machine, totalizzante  immersione in profonde oscurità dai tratti prevalentemente aspri e respingenti.

I A
Incalzanti flussi permeati da marcate pulsazioni sintetiche disegnano dinamiche progressioni intersecanti stridenti frequenze  a densità scabrosa ascendente fino a giungere ad uno stagnante approdo lisergico. Un breve respiro e si riparte risucchiati da una vorticosa spirale di battiti irregolari e ruvidi crescendo che giungono al limite del rumore bianco per sciogliersi in dilatati riverberi carichi di cupo mistero.

II A
Un’onda di graffianti frammenti  avanza compatta e travolgente senza alcuna tregua  riversandosi in un secondo atto fatto di oblique modulazioni interpolate da essenziali stille ritmiche conferenti una consistenza tattile che soltanto nel finale ritrova una marcata componente abrasiva.

III A
Un’inattesa danza di luminose armonie sintetiche plasma un paesaggio cosmico che si alterna a deflagranti passaggi ritmici permeati da granulose scariche generando un’articolata sinusoide tra atmosfere divergenti  annullata dalla notturna e spettrale ambience pervasa da un persistente soffio algido dell’ultimo atto.

Una trilogia intricata dal tono unitario e dalla costruzione cinematica che attraverso una sapiente strutturazione di visioni diversificate mantiene viva l’attenzione durante tutta la sua lunga durata.

Per viaggiatori impavidi ed esperti.

 

velleitie “scheming the afterimage with god herself”

[sounds against humanity]

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Sospesi in un’amniotica distesa  di morbide fluttuazioni. Sono calde e luminose movenze in costante espansione a comporre “Scheming the afterimage with god herself”, lavoro pubblicato ad inizio estate da Sean Kase aka Velleitie in formato digitale e la cui edizione fisica sancisce l’esordio  della nostrana Sounds Against Humanity.

Avvolgenti bordoni dall’incedere cullante e percorsi da striature flebili che ne increspano appena la superficie definiscono  nove racconti plasmando un galleggiante percorso dai toni intensamente meditativi che investono le liquide modulazioni spesso inclini ad una solenne staticità (“Other Scenarios”, “Last Flight for Cher Ami”). A scalfirne l’estrema persistenza, segnando preziose variazioni d’atmosfera, intervengono ovattate pulsazioni dalla cadenza mesmerizzante (“Oil Combing the Arid Grid”), sinuose correnti ridondanti (“Standing Still in Loud Colour”) ed enfatiche trame di violoncello dall’accentuato lirismo (“Interlude for Withdrawing with the Intention of Returning”).

Un dilagante flusso atmosferico, che smorza il suo carattere accogliente soltanto nel finale percorso da ruvide frequenze ascensionali, al quale cedere senza riserve.

ornella cerniglia “l’attesa”

[almendra music]

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Una stanza immersa in uno spazio fuori dal tempo dove tutto diviene eterno presente. È un flusso narrativo che coniuga elementi distanti sulla scorta di un’affinità umorale a sancire l’esordio solista di Ornella Cerniglia, lavoro breve a cui nel corso dell’anno seguirà la pubblicazione del primo lavoro sulla lunga distanza dell’eclettica pianista e compositrice siciliana.

All’interno di questo piccolo scrigno che plasma una preziosa oasi di fragile purezza si ritrovano due tracce originali della musicista incastonati tra due composizioni che giungono dal novecento a costruire un virtuoso dialogo tra memoria e futuro imminente che in più occasioni ha già informato le produzioni di Almendra .

La scena si apre sui cupi rintocchi della spettrale essenzialità di “Sinister Resonance” di  Henry Cowell, che disgregandosi conducono con somma naturalezza ai fraseggi armoniosamente obliqui di “Cu’ va e cu’ veni” e all’enfatico incedere della title track, il cui spettro sonoro è preziosamente ampliato dagli innesti sintetici di Giovanni di Giandomenico. A chiusura di questo interlocutorio debutto è posto l’ulteriore omaggio al passato rappresentato da “Una pastorale etnea” del conterraneo Francesco Pennisi, che con il suo contemplativo romanticismo regala un ultima immaginifica visione prima del ritorno alla convulsa quotidianità.

Non resta che rimanere in paziente attesa.

 

kate carr “from a wind turbine to vultures (and back)”

[flaming pines]

Cover Art

La voce di un pendio immerso nella solitudine raccontata da dieci punti dislocati lungo il cammino. È il risultato di una residenza artistica svoltasi in un piccolo centro dell’Andalusia il nuovo lavoro di Kate Carr, mappatura sonora di un circoscritto tratto di territorio particolarmente inospitale e difficile da esplorare durante il periodo invernale.

Di base in una villa situata in una quieta e inabitata valle, l’artista australiana ha deciso di indagare la scoscesa altura fronteggiante il suo alloggio proponendosi di catturarne i suoni scegliendo una serie di scorci da cui effettuare la riprese.

Diviso in due lunghe tracce il flusso risultante, fatto soprattutto di risonanze ovattate e delle gelide fluttuazioni del vento incessante, restituisce l’estrema rarefazione di attività vitali che caratterizzano il luogo in questa stagione, definendo un minimale tracciato atmosferico dal carattere ascetico e ancestrale modulato da rari e attutiti canti di uccelli e un crepitante scorrere di organici frammenti.

Un’immersione profonda nell’essenza del paesaggio.

 

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andrew tasselmyer “vantage points”

[shimmering moods records]

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Una placida scia risonante che porta con se l’eco di luoghi speciali. Prosegue lungo i tracciati definiti dal suo esordio solista Andrew Tasselmyer plasmando, lontano dagli Hotel Neon, un nuovo percorso emozionale ispirato ancora una volta ad una sequenza di scorci geografici a lui cari.

Manipolando in modo esteso i suoni ambientali raccolti e combinandoli ad evanescenti fluttuazioni dalle quali emergono in filigrana polverosi frammenti finemente granulosi, l’artista americano definisce morbide modulazioni intrise di persistente calore che lentamente si dilatano formando un quieto mare sensoriale dalle sfumature tremule e cangianti nel quale immergersi lasciando libero corso ai propri pensieri.

È un flusso cullante e contemplativo, dai tratti persistentemente onirici, al quale abbandonarsi in totale solitudine.