atthis “una botánica propria”

[el muelle records]

Correnti divergenti che si incrociano divenendo nucleo creativo. Si nutre del contrasto, dell’incontro/scontro di frequenze dal tono nettamente divergente l’esplorazione sonora di Atthis, duo madrileno composto da David Coello Garcí e Raquel Martínez Muñoz che aggiunge un nuovo tassello al lavoro d’esordio pubblicato nel 2014.

Compenetrando essenziali partiture pianistiche con atmosferiche modulazioni sintetiche, i due artisti dipingono una sequenza di  stridenti paesaggi che coniugano una cullante attitudine melodica alla portata ruvida di una componente elettronica pervasa di oscura tensione, generando un territorio sonico di matrice postmoderna in cui elementi antitetici riescono a trovare un inatteso equilibrio. Ciascuna delle parti in causa trova lungo il tracciato momenti di preminenza divenendo però soltanto  sporadicamente presenza unica.

Tra scorci meditabondi (“Uruk”, “Anna”), convulse ascese rumorose (“Marc contra todo”, Lluvia oblicua”) e materiche risonanze polverose (“Una botánica propria”) quel che si rivela  è un universo vivido e ribollente in cui memoria e presagio sembrano fondersi alla ricerca di un vitale istante sospeso nel tempo in cui perdersi.

Luigi Turra “Fukinsei”

[mAtter]

L’imperfezione come opportunità, non generatrice di ansia ed insicurezza ma elemento virtuoso adatto a trovare un’armonia differente ed inattesa fatta di ponderata sproporzione. Affonda le radici nei precetti dello Zen, ricondotti però alla stringente contemporaneità, la ricerca sonora di Luigi Turra, esplorazione consapevole e rigorosa qui condensata a dare forma al suo quarto lavoro sulla lunga distanza.

Seguendo le logiche della estetica orientale, ciò che si disvela è una raffinata sequenza di microcosmi risonanti improntati al ricorso del gesto esatto e misurato, non scaturente da una logica stringente e vincolante bensì incline ad assecondare un’istintualità vivida capace di cogliere bellezza nell’irregolare e nella giustapposizione di particelle contrastanti.

Immersi in un silenzio che ne amplifica la portata, risonanze metalliche e stille elettroacustiche si confrontano con echi ambientali e il suono trasfigurato dello shakuhachi seguendo oblique traiettorie strutturate secondo uno schema tripartito. Incastonate tra due indefiniti frammenti vocali, ulteriore componente che modula l’evolversi del tracciato, le due sezioni iniziali che occupano la prima metà del disco vedono una preminenza dei vuoti utilizzati quale elemento per definire un pieno rarefatto capace di imporsi come presenza al tempo stesso profondamente materica eppure leggera ed evanescente. Maggiore densità che assume le sembianze di flebili bordoni finemente modulati caratterizza i cinque paragrafi della terza parte che vede susseguirsi vaporose sospensioni intaccate da apici ascensionali e improvvise cesure.

A mantenersi inalterata è l’aura contemplativa che pervade ogni singolo istante e la capacità di lasciarsi guidare dalla materia sonora seguendo percorsi inconsueti e profondamente stimolanti alla scoperta di un universo sensoriale fertile e vitale.

Takagi Masakatsu “Marginalia”

[Milan Records]

Un respiro che si irradia leggero come morbida luce che accarezza il mondo posandosi su ogni suo remoto angolo, movimento reso tangibile attraverso l’aggraziato tocco di due mani che fluenti corrono sulla tastiera di un pianoforte. Traspare tutta la benefica influenza di un luogo remoto e profondamente sereno da “Marginalia”, intima raccolta di confessioni a cuore aperto cesellata da Takagi Masakatsu nella solitudine del suo studio privato situato in un piccolo villaggio della prefettura di Hyogo.

Assecondando l’elegia e la semplicità connaturata nel luogo prescelto, il musicista giapponese  costruisce una sequenza di minimali istantanee dal sapore intimo, eleganti tracciati che danno forma a differenti stati d’animo attraverso l’utilizzo di trame pianistiche dolcemente nostalgiche o dall’incedere quasi ludico, che a tratti includono echi  ambientali o trovano espansione in modulazioni vocali e brevi ulteriori contributi acustici. Immediatezza e un senso di estrema libertà si sprigionano prepotenti lungo l’intera durata del lavoro originando una placida peregrinazione intrisa di ammalianti riflessi orientali.

Contemplative annotazioni di un mondo seducente.

Ynaktera + Kenta Kamiyama “Notturno”

[Stochastic Resonance]

Il graduale giungere dell’inesorabile oscurità ciclica, il suo completo espandersi in cui lasciare fluttuare visioni cangianti in attesa di ritrovare la luce confortante del giorno. Nasce dal fermento di una comune insonnia il primo lavoro che vede insieme Ynaktera e Kenta Kamiyama, rimodulazione e ampliamento di una sessione romana che ha visto i due musicisti confrontare e fondere le proprie coordinate artistiche  per esplorare la profondità della notte.

Incrociando evanescenti frequenze sintetiche costellate di glitch, frammentarie risonanze melodiche e pulsazioni di intensità variabile, il duo costruisce un mutevole tracciato che segue le diverse sfumature dell’arco temporale privo della presenza del sole tramutandole in percorso sensoriale segnato dall’alternanza di momenti placidamente contemplativi e passaggi densi di inquieto mistero.  Un procedere lento che ha inizio dal morbido flusso che disegna un lungo malinconico “Tramonto”, il cui riverbero armonico si riversa nel successivo “Crepuscolo” ovattato da modulazioni ruvide che annunciano l’approdo ad una liquida “Notte” costellata da profondi battiti e oniriche stille pianistiche, cancellate dal nervoso crescendo carico di tensione che annuncia l’”Aurora”.

Un evocativo omaggio alla “Luna” di leopardiana ispirazione suggella il definitivo approdo al termine del ciclo chiudendo un viaggio che decreta il perfetto incastro di due ottiche differenti  eppure profondamente affini.

Aldo Becca “Dali”

[RLO & Ribéss Records]

Il tempo che scorre inesorabile scandito dal susseguirsi di accidenti ed attimi di cristallina gioia, tracce e frammenti di storie recuperate dalla memoria che si ricombinano generando un ipnagogico flusso di coscienza. È un delicato universo profondamente emozionale quello che gradualmente emerge dal torrente di suoni cesellato da Aldo Becca, schivo cantore romagnolo dedito a narrare la vita in ogni sua componente, evitando di rifuggirne le sfumature più dolorose e complicate a cui nessuno viene sottratto.

Diviso in quattro sezioni, ognuna accompagnata da un’immagine che insieme alle parole e ad una chiavetta usb si ritrovano chiuse in una preziosa scatola, “Dali” definisce uno spazio intimo nel quale ci viene concesso di entrare in punta di piedi, un ambiente plasmato dal susseguirsi di fragili armonie su cui si adagia un canto schietto più volte alternato a voci del passato e versi di poesie dimenticate. Sono melodie prive di mediazioni, palpitanti istantanee di un folk mai convenzionale, spesso sporcate da interferenze di varia natura (affidate ad un nutrito numero di amici/collaboratori) che al tempo stesso ammaliano e disorientano. Ci si ritrova così in balia di essenziali miniature acustiche (“Chiave di Volta”) interpolate da flebili echi ambientali, inquiete oblique derive elettriche (“Fuoco Nero (Fidèl)”), astratte visioni oniriche dal marcato portato evocativo (“Sguardo su Mezzogiorno”) e toccanti omaggi di essenziale lirismo (“D’Ali”).

Avvolti da una patina di dolente bellezza, ognuno dei minimali quattordici tasselli di questo splendido percorso diventa parte imprescindibile di un mondo sospeso capace di far assurgere ogni personale impressione a roboante vibrazione condivisa.

Fabio Orsi “motel a tre stelle”

[ST.AN.DA]

Un andare senza sosta che infine riconduce lì dove tutto ha avuto inizio, uno sguardo instancabile che si riappropria dell’introspettiva profondità di quel blu che da sempre connota l’indomabile fluire del mare e l’insondabile leggerezza del cielo che lo sovrasta. Denso di significati e rimandi, si rivela intenso tracciato emozionale “Motel a tre stelle”, percorso sonoro intimamente connesso alla terra d’origine da cui Fabio Orsi si era staccato da un decennio e a cui adesso è tornato a legarsi.

Sinuose frequenze sintetiche si espandono seguendo fluide traiettorie interpolate da pulsazioni ed echi ambientali, condensandosi in contemplative distese che si muovono a velocità variabile tra aerei echi cosmici e misteriosi fondali liquidi. Scandite da un incedere reiterato definito da ritmi spesso  incalzanti le modulazioni elettroniche costruiscono ipnotiche visioni in bilico tra offuscata realtà e vivido sogno, carattere onirico che raggiunge l’apice quando il paesaggio diviene cristallina sospensione di  quieti riverberi. È un blu che emerge in ogni sua sfumatura, in ogni suo tratto sensoriale proponendosi come soffio dolcemente malinconico, aspirazione all’assenza di limiti e linfa vitale che corre verso il cuore.

Un ritorno che è ripartenza, una rinnovata consapevolezza che conduce ad esplorare ambiti noti da un punto di vista inedito.

Valentina Casesa “KI”

[Almendra Music]

Il respiro profondo che nasce dalla percezione del mondo in cui viviamo, l’energia vitale che scaturisce dall’avvertire le vibrazioni che giungono da ogni elemento con cui entriamo in contatto. È questa la linfa di cui si nutre l’arte di Valentina Casesa, pianista e compositrice che dopo aver esordito con l’EP “Orior” giunge adesso alla sua prima prova solista sulla lunga distanza.

Attraverso i suo quattordici capitoli “KI” costruisce un intimo tracciato sonoro intriso di delicato lirismo, un susseguirsi di ammalianti paesaggi sensoriali che restituiscono la visione della musicista palermitana sotto forma di evocativi flussi risonanti che alternano momenti di lieve ed avvolgente quiete a decise ed enfatiche ascese emozionali. Un vivido caleidoscopio che trova prezioso ampliamento, in alcuni dei suoi episodi, attraverso un misurato processo di ibridazione affidato ad alcuni degli autori attivi nell’universo Almendra, che vede i fraseggi pianistici interpolati da flebili modulazioni sintetiche e da echi ambientali che conferiscono maggiore matericità ad armonie dall’impronta marcatamente classica.

A rendere ancor più sfaccettato e completo il viaggio contribuisce la scelta di affiancare alla dimensione autoriale definita dalle composizioni originali quella di talentuosa esecutrice includendo nel disco alcuni brani di maestri a lei cari quali Tōru Takemitsu, Dimitri Nicolau e Ottorino Respighi, accostamento capace di creare un ideale congiunzione tra recente passato e presente più volte promosso dalle pubblicazioni della label siciliana. Un rivitalizzare la memoria  che accanto all’espansione del proprio linguaggio favorita dalle collaborazioni proietta verso un futuro in costante divenire.

Bogazzi / Gasparotti “Extrema Ratio”

Immagini in movimento andate perdute, parole che le descrivono e infiammano l’immaginazione dopo oltre quarant’anni, suoni che raccolgono e alimentano le suggestioni di un mistero mai sciolto. Si ispira alla sceneggiatura di un film scomparso “Extrema Ratio”, una pellicola forse mai esistita eppure divenuta vera e propria ossessione per chi come Nicola Bogazzi e Gabriele Gasparotti ne ha seguito le tracce nel corso degli anni, quel “Maldoror – Il dio selvaggio” che ha contribuito a rendere Alberto Cavallone un autore di culto.

Estrapolando un ribollente e altamente sfaccettato flusso sonoro da un’ampia strumentazione che affianca e alterna frequenze sintetiche e trame elettriche, il duo costruisce una possibile colonna sonora che non mira a portare all’istante contemporaneo  l’arcana sequenza visiva, quanto piuttosto si propone come commento che affonda le radici nelle sonorità di quell’epoca risultando così pienamente plausibile. Strati di modulazioni elettroniche, pulsazioni incalzanti, linee di basso e trame chitarristiche si combinano disegnando oblique ambientazioni risonanti che si muovono tra lisergica irrequietezza e gravida minaccia, a volte costruite come tracciato univoco altre come poliedrico frangente dai continui cambi di rotta.

In modo del tutto coerente si susseguono liquide distese acide che riportano alla memoria le sonorizzazioni di inizo ’70, convulse spirali dai tratti indefinibili ed in costante mutazione, tessiture evocative pervase da grave solennità e cavalcate progressive che sfociano in modo inatteso in ariose aperture acustiche, fino a giungere all’oscuro finale dall’incedere implacabile, ruvido incubo dalla chiusura inquietante.

Una graffiante immersione in un universo profondamente surreale.

Gri + Mosconi “Between ocean and sky”

[slowcraft records]

between ocean and sky - cover (500x500)

Un intenso torrente emozionale che scorre senza sosta incastrato tra la misteriosa profondità del mare e l’insondabile leggerezza del cielo, generato dalla fusione di traiettorie creative dissimili eppure convergenti. È un incontro nato con premesse differenti e adesso tramutato in percorso condiviso quello che unisce Francis M. Gri e Federico Mosconi, artisti dediti alla costruzione di rarefatti paesaggi sonori dal pronunciato portato evocativo.

Intrecciando evanescenti frequenze sintetiche e fragili trame melodiche, Gri e Mosconi costruiscono sinuose strutture in costante divenire che offrono un’estesa gamma di varianti definendo un tracciato ambientale denso e pervaso da molteplici sfumature. Dalla modulazione di persistenze nebbiose, luminose scie droniche, essenziali fraseggi pianistici e flebili correnti granulose emergono gradualmente avvolgenti visioni di territori dai tratti indefiniti eppure intensamente avvertibili, ambienti sensoriali vividi in cui perdersi guidati dalla morbidezza del suono.

Un’affascinante fusione di istanze complementari cristallizzata in un immaginifico incedere privo di momenti di attenuazione.

The Gentleman Losers “Make we here our camp of winter”

[sound in silence]

the gentleman losers - make we here our camp of winter

L’incanto di un lago a riempire gli occhi, la sua liquida distesa che diventa specchio nel quale riflettere emozioni trattenute. Continuano a muoversi lungo un margine indefinito i fratelli Kuukka, uno spazio sensoriale dilatato ed imprevedibile, che dopo l’attesa della luce che caratterizzava l’ottimo “Permanently Midnight”  si trasforma adesso nel quieto trapasso stagionale che lentamente conduce verso la rinascita primaverile.

“Make we here our camp of winter”, quarto lavoro che giunge a breve distanza  dal precedente sancendo una ritrovata continuità del progetto The Gentleman Losers, definisce un meditabondo tracciato introspettivo ancora una volta generato dall’accostamento di sonorità lo-fi, risonanze sintetiche e morbide pulsazioni , qui combinate secondo strutture più libere e spontanee. Sempre pervasi da un carattere onirico che ben si adatta alla definizione degli algidi scorci scandinavi, i paesaggi sonori risultanti dal fluire delle vaporose trame elettroacustiche si fissano con un’enfasi ed un’immediatezza  ancor più profonda. È un procedere sinuoso tra cadenzate risonanze nostalgiche (“Book of leaves”), ammalianti visioni permeati da una tenue ed avvolgente luminosità (“Always crashing on the same wave”), dolenti narrazioni dal tono epico (“Fish roam in winter water”) e  granulose evasioni (“Kingdom of the wind”).

Un andare placido in ascolto di se stessi alla ricerca di una rinnovata consapevolezza.