Fabio Orsi “Tre giorni e un mattino d’estate”

[st.an.da.]

Uno sguardo che si libra verso orizzonti distanti ed inafferrabili assaporando una limpido senso di libertà nel quale trovare rifugio. Prosegue ad esplorare pulsanti ambiti elettronici Fabio Orsi in “Tre giorni e un mattino d’estate” e lo fa plasmando quattro dilatate sequenze in fluido divenire.

Accomunate da una struttura similare che vede sommarsi gradualmente atmosferiche modulazioni ambientali e reiterati battiti fino a definire ostinate fughe sensoriali, le lunghe traiettorie disegnate dal musicista pugliese si rivelano quali avvolgenti spirali sintetiche in cui immergersi abbandonandosi ad un fluire morbido eppure totalizzante. È uno scorrere ipnotico e incalzante, dall’incedere spesso liquido e lineare, ma che sa attraversare ugualmente territori accidentati segnati da ritmi irregolari (“Smarrita distanza”) o diluirsi in atmosfere che rasentano panorami siderali (“Andiamo via”).

Un lungo viaggio sonico in un indefinito spazio temporale.

Filtro “Forma”

[nausea.]

Indomita, ribollente materia in costante evoluzione, percorso esplorativo che sfugge a rigide strutture per divenire continuo specchio dell’istante. Rimanendo fedeli alle componenti e alle logiche proprie del loro condiviso progetto, Luca De Biasi e Angelo Bignamini confezionano un nuovo tracciato a firma Filtro che prosegue lungo la rotta fin qui tracciata.

Ruvide frequenze altamente materiche incontrano e si scontrano con nervose modulazioni elettriche generando un esteso flusso, fissato e rimodulato su nastro, interamente  improvvisato ed in incessante divenire. Contraddicendo il titolo che lo definisce, questa instabile sostanza sonora lungo i suoi quasi quaranta minuti non giunge mai a statica cristallizzazione, continuando invece a ricercare una connotazione fluida ed estremamente dinamica.

Tra risonanze concrete e correnti sintetiche quel che si rivela è un turbolento scorrere di intrecci convulsi e vorticosi, capaci di inglobare dissonanze, rumori e inattesi frammenti armonici che concorrono alla determinazione di una massa sonica in cui immergersi con ostinazione affidandosi interamente al suo graffiante portato sensoriale. Percorso per navigatori esperti.

Ciro Vitiello “I’ll Take You Into The Gaurd Rail”

[AUGHT \ VOID]

Un pensiero inquieto che avanza lungo una notte indissolubile, una solitudine che si nutre dell’oscurità per immergersi nel profondo della sua anima.  Scrive in suono un noir breve ed intenso Ciro Vitiello, una biografia possibile di una vita giunta alla resa dei conti che ha la forma di un introspettivo vagare di risonanze ruvide e taglienti sospese su una strada senza fine.

Ossessive modulazioni analogiche evolvono secondo tracciati irregolari intrecciandosi a granulose frequenze radio, dando origine ad un fluire obliquo, pervaso da una incombente aura spettrale. È un respiro sintetico carico di tensione crescente ma mai deflagrante, un allucinato torrente in piena pronto a trascinare con sé qualsiasi cosa incontri lungo il tracciato senza la necessità di oltrepassare gli argini. Come improvvisi frammenti che rapidamente vengono inghiottiti dalla densa penombra da cui scaturiscono, le otto tracce di questa incombente deriva sonica si susseguono incalzanti fino a raggiungere l’aperto finale a cui affidare il delirio di una mente alienata.

Narrazione profondamente cinematografica e coinvolgente.

Duo Blanco Sinacori “hacked arias (vol.2: Vincenzo Bellini)”

[almendra music]

Immergersi nella storia riassaporandone la cristallina bellezza per condurla nel presente e rinnovarne  l’indissolubile vigore. Si impreziosisce di un nuovo capitolo il progetto che il virtuoso duo chitarristico composto da Alessandro Blanco e Giuseppe Sinacori dedica alla riproposizione di alcune arie d’opera dei grandi maestri del passato, secondo volume dedicato alla figura di Vincenzo Bellini che succede a quella di Giacomo Puccini.

“Ah!, non credea mirarti” (da “La sonnambula”), “Son vergin vezzosa” (da “I puritani”) e “Casta diva” (dalla “Norma”) sono le tre immortali gemme proposte in questo breve ma intenso percorso musicale, sapientemente ricreate con intatta enfasi nella loro riscrittura per chitarre delle partiture originali dando vita ad una rivisitazione capace di lasciarne inalterato l’originario elegante pathos.

Incastrati nel loro succedersi, appositamente rielaborate, troviamo due crepuscolari composizioni di Marco Betta tratte dal suo lavoro “Bellini ultime luci” ispirato alla produzione  del musicista catanese, ideali intermezzi che con estrema grazia coniugano passato e presente divenendo solido ponte tra due dimensioni temporali ed artistiche intimamente connesse.

Una nuova prova pienamente superata  da due autori in costante ed inarrestabile crescita.

Yaca “II”

[404 Notlabel]

Spirali di suono che si dispiegano dense ed ipnotiche, generate percependo l’istante nel suo divenire. Ad oltre due anni di distanza dal capitolo di debutto pubblicano una nuova traiettoria condivisa Rodrigo Montoya e Ignacio Moreno-Fluxà riprendendo e affinando una registrazione dal vivo risalente anch’essa al 2017.

Sempre strutturate sull’intrecciato dialogo tra le dilatate frequenze chitarristiche del cileno Moreno-Fluxà  e le minimali tessiture cesellate dal brasiliano Montoya sul suo shamisen, i due improvvisati movimenti che compongono questa seconda tappa riprendono la medesima modulazione in costante evoluzione, già evidenziata nel lavoro d’esordio, ribadendo una pratica di fusione dei peculiari lessici dei due artisti senza contribuire in modo evidente a definire uno sviluppo ulteriore.

Rimanendo ferma l’atmosfera totalizzante ed immersiva, questo nuovo duplice flusso ha nel suo reiterare un riuscito connubio il suo elemento di forza, potenzialità che adesso attende di trovare nuove vie da percorrere.

Alder & Ash “The Crowneater”

[Mendicant Records]

Un ruvido urlo generato dalla asfissiante inquietudine del vivere postmoderno. È un malessere estirpato dal profondo e tradotto in penetranti tessiture a dare forma al nuovo capitolo di Alder & Ash, personale progetto di Adrian Copeland che dà continuità ed espande una traiettoria sonica inaugurata alcuni anni fa attraverso due affascinanti lavori che ne evidenziavano l’inclinazione verso la ricerca di un personale lessico in bilico tra classicismo e sperimentazione.

Spingendo la sua esplorazione verso orizzonti sempre più accidentati e meno confortanti, il violoncellista canadese disegna un alienato universo sensoriale fatto di taglienti dissonanze e complesse progressioni che rendono vivide le spirali emozionali da cui scaturiscono. È suono estratto dallo strumento con furente pathos per divenire magmatico flusso che si trascina lasciando tracce indelebili, materico torrente nutrito da influssi stilistici eterogenei filtrati dalla vitale sensibilità di un artista pronto a donarsi interamente attraverso la sua scrittura.

Tra tese stagnazioni di dilatati riverberi e ipnotiche ascese di trame ritmiche incalzanti “The Crowneater” si dispiega crudele ed implacabile fino a divenire totalizzante distesa di suono che rapisce e trascina fino a riversarsi in un ultimo sommesso tumulto che chiude questa enfatica parabola risonante.

Patrizia Oliva “Celante”

[Setola di maiale]

Come Alice, cadere in un universo incantato, inseguendo oniriche visioni  che si susseguono lungo una sinuosa e vibrante traiettoria che congiunge la realtà al sogno confondendoli incessantemente. Ha radici lontane questo nuovo viaggio plasmato da Patrizia Oliva, nato da intuizioni sviluppate alcuni anni fa durante la scrittura di musiche per le immagini di un cortometraggio e accuratamente definite, portate a compimento durante un autunnale soggiorno nel piccolo borgo sulle dolomiti da cui prende il nome.

È materia viva e pulsante quella da cui traggono origine queste otto immaginifiche stanze, tutte imperniate su una vocalità che è contemporaneamente definito canto e astrazione sonica, intimamente connessa a trame sintetiche che placidamente ne completano la struttura. Tra ossessive reiterazioni, basse frequenze e dilatate modulazioni, le parole delicatamente scavano una traccia profonda divenendo faro da seguire per muoversi lievi in questo visionario oceano apparentemente essenziale, in realtà ricco di dettagli e sfumature da catturare gradualmente ascolto dopo ascolto.

Ne scaturisce un mutevole flusso attraverso paesaggi in bilico tra ipnotica indeterminatezza, obliqua deriva e ammaliante narrazione che conclude il suo tragitto confluendo in una terminale completa forma canzone che rivisita ed omaggia le parole di Pier Paolo Pasolini musicate nel lontano ‘68 da Domenico Modugno.

Una sensoriale immersione in un vivido paese delle meraviglie.

CADLAG “+”

[Pharmafabrik]

Scuro e algido magma in graduale ed inarrestabile movimento. Tagliente come una lama spietata si erge e ribolle la materia sonica scolpita in presa diretta da Dejan Brilj, Boris Laharnar, Simon Šerc e Neven M. Agalma per dare vita al terzo capitolo del condiviso progetto Cadlag, asfissiante torrente di ruvide frequenze analogico-sintetiche in vorticoso sviluppo.

Da un crescendo di sulfuree correnti cariche di schiacciante tensione, lentamente prende forma un’inquieta massa di acuminati frammenti e disturbanti riverberi  in dinamica espansione, un claustrofobico addensarsi di trame che procedono tra vischiosa, apparente quiete e dirompente, deflagrante ascensione. Un procedere incostante e frammentato che ha nella sua durezza, nella sua aspra propagazione il filo conduttore che lega e guida i differenti momenti di una deriva allucinata ed alienante da cui farsi travolgere senza opporre  inutile resistenza.

Nero che schiaccia.

Svart1 “Monòtono”

[Mask of the Slave]

Nero profondo e saturo squarciato da effimere, affilatissime lame di luce accecante. È una deriva monocromatica dai tratti algidi e dai contrasti decisi a prendere forma attraverso i nove capitoli del nuovo lavoro di Raimondo Gaviano a firma Svart1, una lunga e penetrante scia in bilico tra sulfuree immersioni ipogee e antigravitazionali escursioni cosmiche.

Denso magma dronico in costante sviluppo si muove a velocità ridotta e mutevole generando un vischioso flusso ossessivo e ossessionante interpolato da flebili frammenti di materica consistenza che ne infrangono l’incedere opprimente. È nell’oscurità che ci si muove, tra accidentati territori pervasi da sentori nordici che acquisiscono maggiore impatto quando si scontrano con incalzanti linee pulsanti prive di intento strutturante, spesso emergenti come autonomo tracciato che accentua il senso di persistente enigma e crescente disagio disegnato dalle spettrali modulazioni sintetiche.

Una dilatata sequenza di allucinate visioni che si susseguono in una disturbante notte liquida senza termine.

Christoph Berg “Tape Anthology Vol. 1”

[Monochrome Editions]

Materiche istantanee che si susseguono come sbiadita eco di frammenti di memoria in costante dissoluzione. Affida a se stesso Christoph Berg l’onere di inaugurare il percorso della sua neonata Monochrome Editions, etichetta dedicata ad uscite che hanno nella manipolazione del nastro il proprio nucleo compositivo, istanza a cui questo “Tape Anthology Vol. 1” perfettamente aderisce.

Accostando e sommando risonanze ambientali, suoni trovati ed occasionali trame strumentali, il musicista tedesco costruisce un accidentata peregrinazione sonora attraverso territori distanti la cui immagine è resa inafferrabile da un costante processo di trasfigurazione delle fonti che completa un lavoro di precisa e minuta cesellatura volto a non dare piena definizione ad un viaggio che vuole essere irrisolto spunto sensoriale.

Ci si ritrova così a vagare tra obliqui flussi mnemonici ammantati da un costante senso di spaesamento, traiettorie che hanno nell’occasionale emergere di brevi tratti armonici momentaneo punto di riferimento a cui affidarsi  prima di ritrovarsi ancora una volta immersi in una densa coltre di nebbiosa inquietudine.