Larsen + Alessandro Sciaraffa “Golden Leaf”

 (Important)

Quattro ore di suono sviluppate in tempo reale a corredo di un rito privato in cui ambiti creativi differenti coesistono in un unico flusso magico. Sculture sonore interattive ideate da Alessandro Sciaraffa, creazioni gastronomiche dello chef Gabriele Gatti e distese aurali sinestetiche plasmate dai Larsen: queste gli ingredienti.
“Golden Leaf” – diciannovesimo capitolo discografico della consolidata compagine torinese  – nasce come testimonianza condensata di quella esperienza, sotto forma di due traiettorie strumentali estrapolate dall’atto performativo. La materia che le compone è altamente atmosferica, vischioso magma di corde, elettronica e percussioni in moto orizzontale. È risonanza che emerge e si disgrega nel silenzio diffondendosi penetrante ed inquieta, incline ad un’oscurità tagliente.
Il primo capitolo in modo particolare genera uno territorio d’ascolto sulfureo contraddistinto da frequenze scintillanti che riverberano sinistre in un substrato plumbeo, paesaggio che nella seconda metà ingloba echi ambientali e si fa vagamente contemplativo quando predominano arpeggi elettrici dall’incedere compassato.
Strisciante, totalizzante e immersivo, il suono – editato e assemblato dal sodale Paul Beauchamp – si propaga senza lasciare vuoti, architettura libera da griglie stringenti che conquista spazio rivestendolo di riflessi aurei abbaglianti.

ALP Trio   “Controra”

[Filibusta Records]

Trentotto minuti di quel frangente mistico del giorno estivo in cui tutto appare immerso nella quiete assoluta, attimi sospesi fatti di movimenti minimi e sogni lucidi. È da qui che prende le mosse la proposta musicale del terzetto formato da Fabio Anile, Salvo Lazzara e Luca Pietropaoli, dall’incanto di una controra concepita come oasi rigenerante nella frenesia contemporanea, restituita sotto forma di itinerari ibridi quanto essenziali  di un suono sinestetico, che incrocia tra gli altri jazz, ambient e world music.

Eppure quel che dischiude lo scenario dopo brevi echi ambientali appare inizialmente tendente al convenzionale, un intreccio di piano, chitarra, tromba, basso e percussioni condotto con perizia ed affiatamento. Questa prima immagine trova immediata smentita nel palesarsi del secondo flusso, che rivela prepotente la matrice atmosferica del lavoro, trasportando in un immaginario rarefatto di modulazioni elettroniche iniettate in filigrana nel tessuto strumentale. Il suono si distende accostandosi a traiettorie care al verbo eoniano, la tromba si riduce a soffio mistico da quarto mondo hasselliano e l’interazione tra i tre si incentra sul gesto necessario, affidandosi ad un incastro guidato da un riduzionismo virtuoso.

L’opera di sottrazione rende il paesaggio sonoro cristallino, sensorialmente vivido, esaltando ogni singolo dettaglio di un viaggio in musica ammaliante, prepotentemente visionario.

Bi Nostalgia & Fiori Carones Alberto   “Le statue d’acqua”

[13/silentes]

È un catalogo prolifico quello costruito da Luca Rigato a partire dagli anni 80 sotto lo pseudonimo Bi Nostalgia, un ampio insieme di produzioni recentemente ristampate con la complicità della Silentes di Stefano Gentile. Tra le numerose uscite di quegli anni c’è ART is NOT Much, lavoro all’interno del quale era contenuta la traccia Le statue d’acqua realizzata in collaborazione con Fiori Carones Alberto.

Trentacinque anni dopo, il frutto di quella sinergia – attivata attraverso lo scambio fisico di suono inciso su nastro, successivamente manipolato e finalizzato – trova posto in un nuovo formato fisico accompagnato da una versione alternativa apparsa sulla cassetta Cathedrals EP. Ad ampliare l’opera , rinnovandone lo spirito di condivisione, sono stati chiamati in causa dall’autore due veterani  delle sonorità atmosferiche – Fabio Orsi e Cristiano Deison – a cui è stato demandato il compito di proporre la propria rivisitazione del materiale originale.

La combinazione di vapori sintetici scandita da glitch luminescenti, in cui è inglobato il fraseggio pianistico registrato da Fiori Carones Alberto, si tramuta attraverso la visione di Orsi in una sinfonia elettronica dal tono maestoso innervata nella seconda metà su una linea pulsante evidente, mentre la revisione operata da Deison aggiunge morbide ombre alla materia rilucente trasportandola in un limbo in bilico tra tese atmosfere crepuscolari e i sentori naturalistici di delicati field recordings acquatici. In ognuna delle sue formulazioni l’itinerario rimane sospeso in una dimensione onirica avvolgente, preminente anche nella decostruzione operata dallo stesso Rigato per chiudere idealmente un processo di fertile partecipazione.

bvdub & netherworld “Equilibrium”

[Glacial Movements]

Risale al 2010 il primo incrocio tra l’ambient-dub-techno maestosa di Brock Van Wey e l’immaginario artico promosso dalla prestigiosa Glacial Movements capitanata da Alessandro Tedeschi e a partire da allora tale sinergia ha continuato a rinnovarsi sfociando in un’amicizia solida e duratura. Non sorprende quindi ritrovarsi infine di fronte ad una prima uscita condivisa – curata ovviamente  dalla label romana – tra i due musicisti, né tantomeno scoprire che le rispettive visioni riescano a coniugarsi alla perfezione in un itinerario – come da titolo – all’insegna di un virtuoso equilibrio.

I quattro espansi movimenti della sinfonia risultante cristallizzano, in un insieme coeso e mai sbilanciato, il portato emozionale del marchio bvdub – nella sua veste più rarefatta, priva di pulsazioni – e l’isolazionismo essenziale a cui ha sempre aderito il progetto Netherworld.  Le due pratiche hanno d’altronde mostrato spesso punti di contatti muovendosi l’una nella direzione dell’altra, attitudine certamente rilevabile nelle derive ambient proposte dall’americano per Glacial Movements, ma anche nella produzione più recente del sound artist italiano.

Come nelle formazioni nevose perenni esiste un limite netto sul quale si addensano calde screziature e correnti glaciali determinando un moto costante, privo di sviluppo, nel quale immergersi perdendo la cognizione del tempo. Il suono si increspa (No Trees for Miles), si impenna in ascese ruvide (Darkness From the Sun), si dilata e ritrae in modulazioni vocali eteree (Seas of Stones and Sand) fino a proiettarsi verso orizzonti cosmici (Ice on Fire) che si riversano in distese armoniche in graduale dissolvimento, intrise di toccante malinconia.

Un viaggio immersivo tra paesaggi sintetici avvolgenti in cui sprofondare abbandonandosi alla forza del suono.

Dag Rosenqvist   “Lexika”

[Dronarivm]

La fascinazione per scenari siderali dal sapore retrofuturistico, l’idea di comporre un commento per immagini in movimento mai catturate sono le coordinate che legano con evidenza le ultime produzioni di Dag Rosenqvist. A Vråen Centrum – proposto nel 2021 per l’ottima laaps e primo esempio di tale attitudine – fa seguito adesso Lexika, itinerario altrettanto immaginifico legato a sonorità tipiche di certa library music degli anni settanta.

A partire dalla visione di un’esplosione silenziosa nello spazio, il musicista svedese dà l’avvio ad un flusso cinematico fatto di progressioni scintillanti (Ignoto, Automata), che recuperano modalità espressive care a Vangelis, e frammenti contemplativi percorsi da fremiti in filigrana (Drift I, Why You). Ritmi e modulazioni elettroniche si combinano a generare ambientazioni di luminosità e velocità cangianti, che passano dal greve estendersi di Into Fields e Io all’apertura ariosa di Please Return, fino a confluire nel placido diluirsi della conclusiva, maestosa Solar II.

Mantenendo intatta l’immediatezza del lavoro precedente, l’album riesce a configurare un viaggio interstellare di maggiore impatto in cui le componenti atmosferiche ed emozionali riescono ad intrecciarsi in modo efficace.

Ed Carlsen   “Gravity”

[XXIM Records]

Una trilogia sulla ricerca di se stessi, sul [ri]trovare le proprie origini alla fine di un percorso che diventa un nuovo punto di partenza. Era iniziata con Morning Hour (2019, Moderna Records) e proseguita con Grains Of Gold (2021, XXIM Records), giungendo adesso a compimento con la pubblicazione di questo ultimo lavoro breve.

La materia utilizzata da Ed Carlsen è ancora la combinazione di tessiture strumentali e frequenze elettroniche messa a punto a partire proprio dal primo dei tre lavori, declinata in forme cangianti che ne dosano diversamente le componenti proponendo atmosfere variabili. L’attacco (Mooring) è nervoso, più granuloso di quanto ci si potrebbe attendere, e sale fino ad assestarsi  su una trama sintetica scandita da pulsazioni profonde. Senza soluzione di continuità il flusso evolve in una sequenza ariosa dipinta da stratificazioni di synth scintillanti e risonanze cristalline (Højvande). L’aura serena diventa preminente e si irradia ancora più incisiva dall’intricato crescendo elettroacustico di On Eloquence, mantenendosi sempre avvertibile fino al termine del tracciato in cui risorge nitida la voce del pianoforte su cui erano imperniati i primi album del compositore sardo.

Un ultimo tassello conciso quanto intenso, che sancisce un ulteriore affinamento di una cifra stilistica sempre più personale e riconoscibile.

Aleksandra Słyż   “A Vibrant Touch”

[Warm Winters Ltd.]

Suono intenso in ostinata propagazione, proiettato verso il limite oltre cui inizia un decadimento fisiologico, libero di espandersi nello spazio e attraversare i corpi. È un approccio fisico, legato alla dimensione dinamica di sviluppo delle risonanze, a determinare la genesi della seconda prova sulla lunga distanza di Aleksandra Słyż. Per plasmarlo la compositrice polacca si avvale di un connubio elettroacustico determinato dall’intreccio delle sorgenti sintetiche da lei definite con le trame acustiche di un piccolo ensemble di archi e sassofono.

Gli spessi bordoni generati dal sistema modulare e dagli strumenti danno forma a flussi penetranti  che si connettono all’insegna di movimenti tonali univocoi non scevri da dissonanze e percorsi da vibranti increspature. Il senso di sospensione, la sacralità che emana dall’insieme mostrano chiari punti di contatto con le atmosfere solenni scolpite da Kali Malone, ma oltre l’iniziale luminosità di “Healing” qui il tono si tinge di un’oscurità crescente. In modo particolare “Softness, Flashes, Floating Rage”, imponente suite di ventisei minuti, vira verso un paesaggio crepuscolare nutrito dai tetri riverberi degli archi e dalla voce dolente del sassofono, che accompagnano con preziosa misura l’idea compositiva della Słyż.
Un paziente immergersi in un nero oceano di suono.

Fonassi / Salogni  “lʼebbrezza delle grandi profondità”

[Canti Magnetici]

Persi nel mistero oscuro degli abissi, in balia dell’infido mistero dei suoi paesaggi ammalianti. È l’universo sottomarino narrato da Jacques-Yves Cousteau nel suo Il mondo silenzioso  il punto di origine del primo itinerario condiviso da Francesco Fonassi e Marta Salogni, deriva straniante attraverso scenari atmosferici definiti dall’accostamento e giustapposizione di risonanze  concrete, scie su nastro,  frequenze vocali e un ribollio brulicante di suoni trovati.

Registrate dal vivo durante una performance tenutasi  allo “Spettro” di Brescia, le dieci tracce che compongono il lavoro scandiscono una sequenza narrativa profondamente materica cesellata con estrema cura. La sound art di Fonassi si incastra alla perfezione alla perizia tecnica della Salogni generando un ambiente d’ascolto immaginifico, che traduce in suono la sensazione di trovarsi al cospetto di un territorio alieno in condizioni precarie. L’insieme di riverberi profondi e modulazioni liquide danno corpo ad un moto acquoso finemente dettagliato in cui si rimane impigliati tra loop ipnotici e trame ottundenti.

Discesa stordente in un regno fatto di silenzi gravidi e buio accecante.

Sakina Abdou “Goodbye Ground”

[Relative Pitch Records]

Scarno, tagliente, privo di intermediazioni. Il suono del sassofono in purezza per dipingere con colori nitidi, violenti nel loro imporsi, un universo interiore in magmatico fermento. È interamente pensato e declinato in forma solitaria il nuovo lavoro di Sakina Abdou, giovane artista multidisciplinare con all’attivo un nutrito numero di esperienze musicali afferenti uno spettro  sonoro che va dal jazz alla sperimentazione prediligendo la libera improvvisazione.

Frutto di diverse sessioni di registrazioni casalinghe, Goodbye Ground si presenta come un racconto suddiviso in tre nuclei totalmente affidato alla voce cangiante del suo strumento d’elezione capace di mutare tono e relativo scenario non solo da un capitolo al successivo, ma anche all’interno di una singola traccia. Lì dove  The Day I Became A Floor con i suoi fraseggi fluidi, le note trattenute e allungate si sviluppa coerente e invitate, la title-track esplode in acuti distorti per tornare a sonorità ammalianti e infine ripartire in ascese lancinanti che alternano bordoni dissonanti e trame nitide senza giungere ad una reale conclusione. I cinque movimenti di Planting Chairs condensano gli elementi fin qui presentati riproponendoli in una sintesi caleidoscopica che insiste nel repentino cambio tra vortici disturbanti e passaggi armonici maggiormente accessibili.

L’evidenza dello spazio neutro, del fondale vuoto entro cui i suoni riverberano, amplifica il senso di partecipazione ad un rito privato in qualità di ospiti a cui viene offerta l’opportunità di entrare a stretto contatto con un ritratto in musica scevro da filtri e sovrastrutture.

Chris Yan   “1990 [music for seven tape loops and one performer]”

Inciampare nella memoria riscoprendo emozioni il cui riverbero è ancora una traccia profonda nel presente. Ha una genesi intima quanto casuale 1990,itinerario aurale composto da Christian Mastroianni in omaggio all’affetto che lo lega al fratello maggiore e a lui offerto quale dono di compleanno. Intento a digitalizzare una serie di filmati familiari girati dal padre, il sound artist romagnolo si ritrova al cospetto di scene risalenti agli anni 90 in cui da bambini giocavano insieme e a partire da queste sequenze decide di plasmare un commento sonoro che ne riecheggi la tenerezza, la solare armonia di un’infanzia condivisa.

La forma scelta è quella del flusso in libera espansione, costruito a partire da sette loop di nastro magnetico interpolati da rare, essenziali stille armoniche.  Da questo approccio ha origine un placido torrente ipnagogico di chiara matrice minimalista che – come già accadeva in Sehnsucht {zinzùkt}, brano contenuto  nello splendido Blasé – mostra dichiarate affinità con il verbo ambientale definito dal “non musicista” per eccellenza nel suo seminale Music for airports. La materiale musicale scorre lieve e potenzialmente senza fine adagiandosi alle cromie distorte dal trascorrere del tempo delle immagini e a flebili field recordings da esse veicolate, costruendo un unicum visivo-aurale commovente.

L’insieme trova poi ulteriore espansione nella redazione da parte dell’autore delle “Note per l’esecutore” da affidare a chi vuole approcciarsi al componimento per tradurlo in atto performativo da interpretare seguendo alcune imprescindibili indicazioni.

Quattordici minuti di cristallina bellezza.