L’amore al tempo stesso più puro e complesso, quello che scaturisce dall’aver generato una nuova vita a cui si rimarrà indissolubilmente legati. Un amore che diviene rivoluzione personale segnando il passaggio dall’essere figlia al divenire madre. È questo ad ispirare il disco di debutto di Aby Vulliamy, il turbine di emozioni connesse ad una tappa fondamentale della vita, punto di svolta che in questo caso coincide con una ripartenza artistica visto che, dopo essere stata musicista coinvolta in numerosi progetti, la polistrumentista inglese si trasforma in autrice trovando nelle parole un ulteriore elemento di novità.
Ed è proprio la sua voce, spogliata di qualsivoglia impalcatura strumentale, a sancire l’inizio di questo nuovo percorso introducendo con una sorta di mantra un intinerario intimistico tra le infinite sfumature di ribollenti sentimenti che esigono di essere comunicati. Le strutture sonore che accompagnano i racconti della Vulliamy palesano una formazione eterogenea consolidandosi in eleganti trame corali che fluiscono leggere lasciando scivolare il canto vellutato (“Forever and ever endeavour (devour)”, “This precious time”) o convergono verso toni più malinconici e dolenti (“Inside out”, “Rock me tender”), trovando occasionalmente soluzione in armonie sghembe (“Good enough”) e più convulse (“Fly-away-home”).
È un tracciato che scorre rapido, cadenzato da brevi frammenti affidati all’enfatico suono della viola (“Rising damp”, “Just a minute, not even”) a tratti combinati a vocalizzi che ne accentuano l’aura drammatica (“Oops Delores”, “Viola interlude”), che si chiude su un carezzevole commiato ancora affidato alle parole.
Un ottimo inizio.