
Un’isola dove tutto può accadere, dove ogni cosa anche solo immaginata si tramuta in tangibile realtà. È suono che si propaga libero, gravido dell’istante da cui nasce e sciolto dai vincoli della scrittura, quello attentamente distillato da Francesca Naibo nel suo lavoro di debutto, immaginifico flusso capace di percorrere ardite traiettorie in costante rivelazione.
Frutto di improvvisate sperimentazioni raccolte in presa diretta e prive di successive manipolazioni, l’escursione sonica plasmata dalla chitarrista veneta d’istanza a Milano coniuga abilmente perizia esecutiva e ricerca, originando un vorticoso universo in cui ogni singolo gesto assume imprescindibile valenza. Sono trame cesellate nella profondità fertile di un silenzio percepito come elemento attivo dell’esecuzione, tracciati che abilmente si muovono tra indagine timbrica e possibilità inesplorate dello strumento, utilizzato nella sua essenza o aumentato attraverso il ricorso a tecniche estese, preparazioni ed effetti vari.
Guidato dal sentire dell’autrice, il suono si snoda evocativo e coerente tra correnti atmosferiche (“Mae Lougon”, “Fron-ne”), risonanze scarne che dialogano con il vuoto (“Nadare Nura”, “Lanka”), frammenti dall’incedere apparentemente più lineare (“Fadada”, “Làmeda Lemèda”) ed impervie derive rumorose (“Foush”, “Groff”). Sono narrazioni complesse che obliquamente travalicano i generi per divenire puro torrente sensoriale, al punto da assumere denominazioni fonetiche, scelte a posteriori, capaci di mutuarne l’atmosfera indirizzando l’ascolto senza confinarlo rigidamente.
Una navigazione coraggiosa alla scoperta di territori ignoti permeati da cristallina suggestione.
[…] (“Halite”) – scaturisce dall’incontro con la chitarrista veneta, milanese d’adozione, Francesca Naibo. Dal comune interesse per la musica colta europea e la costruzione estemporanea scaturiscono […]
"Mi piace""Mi piace"