Sfocate visioni che si susseguono in un caleidoscopico fluire plasmando un universo destabilizzante pervaso dalle profonde inquietudini di una mente allucinata. Si ritrovano accomunate da un’obliqua coesione le tracce recuperate e rimodulate da Mkl Anderson con l’ausilio di un nutrito numero di amici musicisti per dare vita al nuovo lavoro firmato Drekka, oscuro torrente di algide frequenze atmosferiche costruito nel corso dell’ultimo biennio.
A partire dalla deriva hauntologica di “Spring Rain, Indian Summer”, rivisitata in collaborazione con Nathan Amundson e definita dall’espandersi di un soffio spettrale su cui scivola una scarna trama pianistica e da cui emerge una evanescente scia vocale, quel che si concretizza è un torrente di modulazioni glaciali e respingenti che di volta in volta assume forme differenti. Con implacabile incedere si susseguono persistenze droniche e riverberi crepitanti combinati a definire sotterranei tracciati che solo occasionalmente accolgono sporadici frammenti armonici (“Sense of Senses”) o estratti ambientali vitali (”Call to Prayer”).
Un’immersione totalizzante in un mare denso di insondabile turbamento.