Kaczynski Unexpected Quartet _ Ferrazza/Salis Duo “The Human Tape” – Gabriele Barbarino _ Raf Briganti “The Android Tape”

[Kaczynski Editions]

Suoni da un futuro dominato dalle macchine dove l’uomo è ridotto presenza residuale.
Ad oltre due anni di distanza dal secondo capitolo tornano le KACZYNSKI TAPE SESSIONS con una nuova doppia uscita – come sempre all’insegna di stimolanti incontri/scontri aurali – ispirata alla contrapposizione natura-artificio, dicotomia tradotta in traiettorie in cui acustico e sintetico si confrontano fondendosi in modo cangiante.

“The Human Tape” vede affiancati il Kaczynski Unexpected Quartet – compagine estemporanea formata da Lua Gandara, Macarena Montesinos, Niet F-n e Nacho Munoz – e il rodato duo Ferrazza/Salis in una proposta elettroacustica basata su itinerari sensoriali immersivi.
Il trittico composto dall’ensemble configura  un notturno obliquo tra retaggi jazz (“Acluofobia”) e (de)costruzioni avantgarde percorse da scie vocali prive di connotazione linguistica (“No country for young men”, “Outro”) proiettati in un paesaggio sinistro quanto essenziale. Gli fa eco l’universo materico disegnato da Marco Ferrazza e Giacomo Salis, la cui densa interpolazione percussivo-elettronica ne riprende e amplifica l’atmosfera inquieta in un percorso altalenante profondamente suggestivo.

Spetta a Gabriele Barbarino e Raf Briganti dare forma al dialogo sintetico di “The Android Tape” proponendo due approcci decisamente differenti ma dalle risultanze affini.
Il primo sceglie di tessere un’unica trama scandita da decisi cambi di rotta che portano scenari atmosferici a riversarsi in sequenze pulsanti dando vita ad un algoritmo ambient – idm convulso. Sicuramente più compatto è l’immaginario cosmico di Briganti che in quattro tappe sviluppa un viaggio siderale fatto di moti ascensionali ruvidi, echi techno-tribali e diluite distese di frequenze oscure in dissolvenza. Una duplice proposta di qualità che ancora una volta esalta visioni peculiari attraverso un contrasto nitido e propositivo.

ranter’s bay   “I will destroy everything I love”

[Kaczynski Editions]

Nell’universo obliquo di Kaczynski trovano spazio realtà diversificate legate dalla propensione a sperimentare assecondando la ricerca di un’impronta peculiare distante da logiche e attitudini imperanti. Retaggi punk e wave, avanguardia e jazz di confine sono solo alcuni degli ingredienti costantemente ricombinati dagli autori afferenti al suo universo caleidoscopico, a cui si aggiunge ora il secondo lavoro del progetto ranter’s bay di Niet F-n, fondatore della label insieme a Giuseppe Fanti/Zerogroove con cui condivide la sigla Ranter’s Groove.

Registrato tra la nostra penisola e quella iberica tra il 2017 e 2020, l’album propone una serie di istantanee elettroacustiche dal tono sommesso e densamente dettagliate. Attorno ai loop chitarristici da cui ogni scenario prende le mosse, si coagulano un insieme variegato di risonanze estratte da flussi ambientali, trame strumentali manipolate e frequenze sintetiche determinando la creazione di flussi ipnagogici avvolgenti.

Nelle atmosfere più rarefatte ed inclini alla costruzione melodica (We are alone again, Misantropia) è possibile cogliere sprazzi atmosferici che non sfigurerebbero nel catalogo 12k, mentre l’uso discreto dei field recordings combinato a modulazioni vocali (Your monkey sleeps inside me) rimanda all’elegia domestica di Claire Rousay. Ma si tratta di semplici suggestioni impigliate in un itinerario cromaticamente vario, che non disdegna la dissonanza (Stray dogs) e la sottrazione (Bad Ideas) al fine di plasmare un territorio introspettivo straniante. Un sogno lucido in cui perdersi.

Zerogroove   “Everyday”

[Kaczynski Editions]

Dieci istantanee di suono ruvido quanto cinematografico sanciscono l’esordio solista di Giuseppe Fantini sotto lo pseudonimo Zerogroove. Dopo le uscite in duo con Niet F-n – l’altro fondatore di quella fertile realtà che è Kaczynski – a firma Ranter’s Groove,  in trio nel progetto zero23 con l’ulteriore apporto di Macarena Montesinos e uno split condiviso con Alessandro Bocci, arriva un itinerario che propone in forma estesa la visione del musicista toscano imperniata su una straniante ibridazione tra punk ed elettronica.
Stooges e Kraftwerk sono i riferimenti accreditati, ma tra le pieghe delle trame proposte si rintracciano, tra le altre, suggestioni estratte dalla new wave più d’avanguardia  – su tutti i Suicide – e da certe formulazioni kraut. Sarebbe tuttavia errato approcciarsi al disco presupponendo di trovarsi di fronte ad un lavoro derivativo. L’idea di suono proposta da Fantini è quanto mai originale ed incline a definire un immaginario peculiare, attitudine che d’altronde investe ogni produzione curata dalla label.

L’avvio è di quelli brucianti, affidato all’improvviso deflagrare di elettricità stridente su cui si innesta il declamare secco di Any Pain, breccia che dischiude un ambiente vorticoso fatto di frammenti inquieti registrati live e privi di ulteriore produzione. Tutto è diretto, spigoloso, offerto senza futili mediazioni. La combinazione stessa di frequenze di chitarra e basso,  fraseggi di tastiera e linee ritmiche ricavate dalla drum machine, nella sua essenzialità, lascia spazio a vuoti significativi che rendono il suono più incisivo ed efficace nel suo portato narrativo. Il pulsare nitido di Walking with Pedro possiede l’evidenza  di una peregrinazione attraverso scenari urbani postmoderni, così come l’incedere ostinato di un basso obliquo definisce in negativo la linearità di un titolo quale A simple life.

Quello messo in scena è un ambiente incoerente, non incline alla definizione di traiettorie confortevoli, ma orientato alla costruzione di paesaggi sensoriali stimolanti. Ogni suono, ogni modulazione funge da input che costringe a [ri]focalizzare la percezione rimanendo ancorati ad un flusso lo-fi ipnotico. Un crudo film d’essai aurale.

Qonicho Ah! “Qonicho Ah!”

[Kaczynski editions]

Trovarsi ad un live talmente convicente/coinvolgente da decidere di voler produrre chi si esibisce. È insolita la genesi  dell’undicesima uscita firmata dalla pregevole Kaczynski  , così come insolito – almeno nella sua alchimia – è il suono che veicola. Qonicho Ah! è un’entità instabile nella forma e sfaccettata negli ingredienti che combina di base a Marsiglia e si presenta qui come duo composto da Morgane Carnet al sax e Blanche LaFuente alla batteria, tramutandosi in trio nella traccia finale grazie all’annessione di Susana Santos Silva alla tromba.

Attitudine impro e propensione free affine a territori jazz ma anche a molto altro – punk/avant/psych – rappresentano le coordinate di un progetto fatto su misura per vivere e svilupparsi sui palchi. E non a caso le quattro dilatate derive che strutturano l’album provengono dalla registrazione della performance tenuta al Festival Banlieues Bleues nel marzo 2020.

Protagonista assoluto è il confronto/scontro tra gli strumenti, dialogo che alterna vortici solipsistici e intrecci serrati scanditi da una percussività scarna dai sentori  tribali e da fraseggi di sax – puro o filtrato – liberi di fluire in qualsivoglia direzione. Tutto risuona viscerale, legato al momento, privo di costrizioni e potenzialmente illimitato. Meditazione obliqua e furore convulso si incastrano senza l’ostinata ricerca di una coerenza che non sia umorale, generando traiettorie spigolose dagli esiti imprevedibili. L’effetto è quello di un tritatutto in cui si riversano bordate jazzcore e pulsanti sentori etnici restituendo un flusso musicale policromo capace di accogliere e mischiare in modo incisivo echi di territori geografici e culturali distanti e solo apparentemente inconciliabili. Piacevolmente stordente.

aa.vv. “Pulsioni Oblique vol.2”

[Kaczynski editions]

Dopo oltre un anno di pausa giungono nuovi segnali dal pianeta Kaczynski. Accantonato il lungo silenzio, la piccola label indipendente nata nel 2018 decide di ripartire pubblicando un secondo volume intitolato “Pulsioni Oblique”. Così come il primo capitolo era dedicato a presentare i protagonisti di un’avventura pronta ad iniziare, questa nuova raccolta offre uno spaccato di ciò che accadrà nel prossimo futuro dell’etichetta tra conferme e nuove annessioni.

La mezz’ora di durata del nastro è quindi concepita come una raccolta di biglietti da visita di ciascun autore reclutato, una panoramica caleidoscopica fatta di anticipazioni e tracce ripescate. Ad emergere sono soprattutto i due tratti salienti legati all’attività della Kaczynski: l’attitudine per  la sperimentazione radicale e l’eterogeneità delle proposte. All’interno di tale target suona perfettamente coerente la successione di decostruzione vorticosa del Kaczynski Unexpected Quartet (Luà Gandarà, Niet F-n, Macarena Montesinos e Nacho Munoz) ed elettroacustica profondamente materica delle accoppiate Ferrazza/Salis e ranter’s bay/Paolo Sanna. All’ itinerario stridente del quartetto messicano Orasique fa eco la ludicità scarna di zerogroove, al frammento pulsante estratto dalla collaborazione tra Luca Sigurtà e Paul Beauchamp la nebbia jazzy del duo francese Qonicho-Ah!.

Siamo ancora una volta di fronte ad ottime premesse che siamo certi non saranno disattese. E di nuovo restiamo in ascolto.

kERN/BATIA HASAN “The Commercial Tape”

[Kaczynski Editions]

Acide visioni da un duplice universo di ipnotiche trame in bilico tra reale ed immaginario. Sono Matteo Barsotti aka kERN e Mattia Ferrarini aka BATIA HASAN a dare forma alla seconda uscita, sempre a tiratura limitata e veste personalizzata, della serie KACZYNSKI TAPE SESSIONS, nuova bipartita traiettoria dedicata questa volta alla disarmante forza della reiterazione sonora.

Tratto comune delle due interpretazioni è l’atmosfera allucinata che si irradia dai tracciati plasmati dai suoi autori, ciascuna derivante da modalità compositive e attitudini nettamente differenti.

Atmosferici e cangianti sono i percorsi narrativi proposti da kERN, immaginifici flussi cinematici permeati da basse frequenze cariche di fumoso mistero, interpolate da frammentate risonanze chitarristiche e occasionali scie vocali che ne scandiscono l’andamento ciclico alla base. Decisamente più ruvido e decostruito è l’immaginario sonico di BATIA HASAN, vorticoso incedere di nervose trame montate secondo strutture che privilegiano maggiormente la ridondanza e si sviluppano secondo linee ascendenti/discendenti che culminano in apici deflagranti o in granulose distese lisergiche.

Personali punti di osservazione su una realtà obliqua e disturbante.

Ranter’s bay & Pablo Orza “Ἑιμαρμενη”

[Kaczynski Editions]

L’inevitabilità dell’istante che si compie, cristallizzato in miniature risonanti che ne accolgono armonie e dissonanze parzialmente svincolate dall’intenzione. Affidano alla libera improvvisazione e agli accidenti del caso la propria volontà compositiva l’alchimista elettronico Niet F-n, qui sotto le sembianze di Ranter’s bay, e il libero tessitore di trame chitarristiche Pablo Orza, uniti dal comune intento di assorbire le variabili dell’attimo quale elemento propositivo da far convergere nel condiviso flusso di pensieri.

Convulsi assemblaggi di suoni provenienti dalle fonti più varie strutturano una impervia traiettoria elettro acustica divisa in sette omonimi atti, che si snoda tra sussurrati ribollimenti pervasi da echi ambientali, irregolari flussi scanditi da essenziali  riverberi, sature distese di inquiete frequenze e vorticose sommatorie di ruvide modulazioni in deflagrante progressione.

Ne scaturisce un indefinito tracciato narrativo dalla consistenza profondamente materica, un imprevedibile susseguirsi di visioni in costante evoluzione che introiettano l’aleatorio quale valore aggiunto. Un’esplorazione atimolante e priva di passaggi a vuoto, dedicata a navigatori sonici attenti ed impavidi.

Zerogroove/Alessandro Bocci “The Urban Tape”

[Kaczynski Editions]

Un incontro/scontro all’interno del cuore nero della città, tra taglienti soffi algidi e inquieti riverberi notturni. Tocca ad Alessandro Bocci (Starfuckers) e Giuseppe Fantini (ranter’s groove, zero23) sancire l’esordio delle KACZYNSKI TAPE SESSIONS, serie di produzioni a tiratura limitata e veste di volta in volta preziosamente personalizzata, curata da Kaczynski Editions, che vedrà misurarsi su un tema comune coppie di artisti che si divideranno i due lati del nastro.

Entrambi incentrati su marcate strutture pulsanti percepite quale distintivo tratto di un urbanità contemporanea convulsa ed alienante, i due universi a confronto sviluppano differenti immaginari che trovano ulteriore punto di contatto nella formalizzazione scarna e spesso dissonante.

Più oscura e claustrofobica la visione di Bocci, dominata da linee sghembe e allucinate innestate su un battere ossessivamente anestetizzante, mentre le proiezioni risonanti di Fantini ci immergono in scenari più nervosi e destrutturati che incastrano a tratti spiazzanti frammenti vocali emergenti tra frequenze ruvide come inafferrabile eco di un’umanità distaccata e priva di calore.

Duplice traiettoria postmoderna in bilico tra affinità e divergenze.

ranter’s groove “haiku”

[kaczynski editions]

Fugaci incursioni attraverso miniature risonanti in cui suono e ritmo si fonde e confonde per giungere ad un punto di equilibrio precario eppure efficace. Ispirati ai componimenti nipponici dal cui nome trae il titolo, il nuovo lavoro dei ranter’s groove disegna un ambiguo tragitto scandito dallo scorrere di essenziali paesaggi che dagli haiku mutuano brevità e senso di imperfetta compiutezza.

Incastrando in scarni flussi estratti ambientali, riverberi crepitanti e frammentarie linee percussive che procedono irregolari, il duo costruisce un microcosmo allucinato ed indefinito che non rispecchia il senso di quiete insito nei versi e nella cultura da cui trae origine e riflettendo piuttosto l’inquietudine e il convulso divenire senza soluzione di continuità di un mondo al limite della distopia.

Sono concisi intrecci che ipnotizzano ed ingabbiano creando un senso di sfasamento costante, un viaggio non lineare fatto di piccoli balzi disorientanti. Obliquità ammaliante.

zero23 “songs from the eternal dump”

[kaczynski editions]

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Scorie risonanti che si addensano originando un fremente microcosmo in cui ogni frammento trova una sua esatta ed inattesa collocazione. È una discarica che attraverso l’ausilio di un’ottica differente si trasforma  in fonte primaria da cui attingere nuova linfa quella da cui estrapola il suono zero23, poliedrico progetto che vede insieme Giuseppe Fantini, Niet F-n e Macarena Montesinos.

Ricercando costantemente un equilibrio tra le parti che dia il giusto peso ad ogni componente in ballo, il trio costruisce otto ribollenti tracciati elettroacustici determinati dall’accostamento  di nervosi fraseggi chitarristici ed oblique elegie di violoncello ad irregolari e spesso ruvide frequenze sintetiche e flebili echi ambientali. Da tale combinazione sgorgano pacati flussi in ammaliante espansione assecondata da efficaci tempi di riverbero che ne lasciano risaltare ogni singolo dettaglio, minuti vortici ricchi di percettibili sfumature che disegnano un universo seducentemente straniante.

Con inattesa consequenzialità si passa così da contemplative derive vagamente cosmiche (“empty little space”), a pulsanti danze rumoristiche (“false step”), da acidi blues minimali (“dead rats blues”) a convulse spirali di flebili distorsioni (“macchinari avariati”), sfaccettate  visioni proiettate verso un immaginario al tempo stesso vivido e sfuggente.